7 novembre 1299: è avviata la costruzione del carcere della Stinche

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di Andrea Zorzi (Università di Firenze)

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

 

Il 7 novembre 1299 il consiglio dei Cento, il più importante organo deliberante della città, approvò uno stanziamento per la costruzione del «novus carcer» del comune di Firenze. La prigione doveva sorgere nella parrocchia di San Simone, su un terreno che era appartenuto alla famiglia nobiliare degli Uberti e che era stato loro confiscato nel 1268 quando la parte ghibellina era stata bandita dalla città in seguito all’instaurarsi di un regime saldamente guelfo. La decisione di erigere un edificio appositamente destinato alla funzione di carcere risaliva a due anni prima, ma le procedure esecutive furono avviate solo alla fine del 1299, e il nuovo fabbricato terminato in un paio d’anni.

 

Torre della pagliazza, piazza Sant’Elisabetta

In precedenza, i carcerati erano stati detenuti in luoghi adattati a prigione. Le prime attestazioni si riferiscono, per esempio, ai sotterranei (le “burelle”) delle rovine dell’anfiteatro romano nella zona che ora dà sulla piazza dove avevano le case i Peruzzi. Frequenti sono anche le notizie di torri utilizzate a fini di reclusione: quella destinata ai magnati, sempre nell’area dell’anfiteatro; la Volognana, in origine una torre del palazzo del podestà così chiamata da quando vi fu incarcerato Geri da Volognano, un signorotto il cui castello di Sant’Ellero sull’Arno era stato preso da Firenze nel 1267; o la Monfiorita, una torre del palazzetto del capitano del popolo che prese il nome da Monfiorito da Coderta, podestà a Firenze nel 1299 che fu incarcerato per corruzione. La più nota è ora forse la torre della Pagliazza, recentemente restaurata in piazza Sant’Elisabetta, adibita nel 1285 a carcere delle donne e poi riadattata a campanile della chiesa di San Michele in Palchetto.

 

L’edificio completato nel 1301 fu invece la prima prigione appositamente costruita in una città europea. L’innovazione era rappresentata dalla volontà di concentrare in un unico spazio i detenuti che fino ad allora erano stati sparpagliati in vari luoghi. Il carcere formava una grande isola trapezoidale, con le celle e i locali racchiusi all’interno di un alto muro perimetrale, con un ingresso e un portone di servizio che si aprivano su via Ghibellina. Il primo conduceva direttamente agli alloggi e agli uffici dei sovrintendenti, alla torre di guardia e a un magazzino. Il portone permetteva invece il passaggio di un carretto, che attraverso una rampa garantiva l’accesso ai magazzini, mentre un ulteriore passaggio conduceva alla corte interna, oltre la quale era un altro alloggio per le guardie. Sul cortile si affacciavano i reparti dei detenuti e una piccola cappella. Per sicurezza i reparti erano separati dalle mura esterne da un camminamento accessibile solo alle guardie. Ogni reparto conteneva delle panche per dormire, una latrina e degli spazi che fungevano da magazzini: una o più finestre davano sul cortile.

 

Opere di misericordia: visita ai carcerati, lunetta nell’Oratorio della Compagnia dei Buonomini di San Martino, sec. XIV.

Grazie a numerosi documenti sappiamo che alla metà del Trecento la struttura comprendeva la “prigione vecchia”, la “prigione nuova”, un reparto per le donne, uno per i magnati, l’infermeria e un reparto (detto “malevato”) con due piani, il superiore dei quali ospitava le sedute settimanali del tribunale dell’esecutore degli Ordinamenti di giustizia, che puniva i reati che si commettevano all’interno del carcere, i più frequenti tra i quali erano il gioco d’azzardo, la blasfemia, il bere, le risse e i rapporti sessuali. Successivamente fu creato un reparto separato per i malati di mente. La maggioranza dei reclusi erano debitori o prigionieri in attesa di giudizio, ma il carcere pullulava di omicidi, ladri, briganti, sodomiti, prostitute, falsari, etc.: i condannati a pene pesanti, e quasi sempre i detenuti per motivi politici, erano tenuti in catene, ma gli altri erano liberi di muoversi nel proprio reparto.

 

Da subito il carcere fu affidato a un apparato amministrativo, che contava alcuni sovrintendenti (“soprastanti”), affiancati da una dozzina di guardie, un camerlengo, uno scrivano, un paio di frati “pinzocheri” che si occupavano delle quotidiane necessità dei prigionieri, alcuni inservienti, un cappellano della vicina chiesa di San Simone, un acquaiolo, e poi anche un medico e un addetto alla rimozione dei corpi dei detenuti deceduti. Nel tempo si aggiunsero anche quattro “buonuomini”, uno per quartiere, che operavano insieme ai frati per la distribuzione delle elemosine.

 

Fabio Borbottoni, Il carcere delle Stinche a Firenze, 1860 circa. Collezione Cassa di Risparmio di Firenze

L’ampio e tetro edificio eretto sul fianco della chiesa di San Simone fu chiamato volgarmente “le Stinche” dal 1304, quando vi furono rinchiusi i soldati fatti prigionieri dopo la presa dell’omonimo castello in Val di Greve appartenente alla famiglia dei Cavalcanti, allora nemica della fazione nera al governo di Firenze: “stinche” significava “creste”, e alludeva con ogni probabilità alla collocazione della fortezza sopra un dirupo, e, in effetti, il carcere poteva ricordare la forma di un castello per le sue alte mura. Il nome mantenne nel tempo il suo significato antighibellino e le Stinche occuparono per oltre cinque secoli il paesaggio urbano dell’area ove erano sorte, senza subire particolari modifiche.

 

Quando all’inizio del XIX secolo cominciò a maturare una nuova sensibilità per il decoro urbano, fu deciso il trasferimento del carcere nel monastero delle Murate presso le mura, che era stato soppresso nel 1808. Il granduca Leopoldo II dispose la vendita a privati dell’isolato delle Stinche nel 1833, e i carcerati furono provvisoriamente trasferiti nell’ex convento di San Domenico a San Gimignano. L’antico edificio fu distrutto e al suo posto sorsero abitazioni private, botteghe, una scuderia con annessa cavallerizza, un teatro diurno e una sala destinata alla Società filarmonica fiorentina. Ai nostri giorni, l’isolato è dominato dalla presenza del teatro Verdi e, dell’antico carcere, rimangono ormai solo alcune tracce nella toponomastica: il Canto delle Stinche e la via dell’Isola delle Stinche.

 

Letture di approfondimento:

  • P.I. Fraticelli, Delle antiche carceri di Firenze denominate Le Stinche, ora demolitee degli edifizi in quel luogo eretti l’anno 1834. Illustrazione storica, Firenze, Formigli, 1834 [online]
  • F. Becchi, Sulle Stinche di Firenze e su’ nuovi edifizi eretti in quel luogo, Firenze, Le Monnier, 1839.
  • M.E. Wolfgang, A Florentine Prison: Le Carceri delle Stinche, «Studies in the Renaissance», 7 (1960), pp. 148-166.
  • G. Geltner, Isola non isolata. Le Stinche in the Middle Ages, «Annali di Storia di Firenze», 3 (2008), pp. 9-30 [online].

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 7 novembre 2012):


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