2 aprile 1770: si esibisce a Firenze Wolfgang Amadeus Mozart

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di Stefania Gitto (Fondazione Scuola di Musica di Fiesole)

 

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

 

 

Anonimo, Thomas Linley e Wolfgang Amadeus Mozart a casa Gavart, 1770 (collezione privata)

Fra il dicembre 1769 e il marzo 1773 Wolfgang Amadeus Mozart e suo padre fecero tre viaggi in Italia. Il primo fu il più lungo, un tour che durò quindici mesi durante i quali i due musicisti toccarono quaranta città e cittadine italiane a iniziare da Verona e Mantova.

 

Durante le numerose soste, Leopold Mozart sfruttò appieno le sue doti diplomatiche per organizzare esibizioni e concerti mettendo in mostra, davanti a nobili e regnanti, le straordinarie abilità del figlio come virtuoso, compositore e improvvisatore. Il mantovano conte Arco, il governatore Firmian, il duca di Modena, il conte Pallavicini, il papa Clemente XIV, l’Accademia Filarmonica di Bologna e quella di Mantova, oltre al granduca di Toscana e alle più importanti famiglie nobiliari aprirono con entusiasmo e curiosità le porte dei loro palazzi e teatri al quattordicenne Mozart. L’ampio riconoscimento che il giovane Mozart ne ebbe fece del suo primo viaggio in Italia il culmine della precoce carriera, perché solo nel “Bel Paese” – da oltre un secolo centro della vita musicale europea e luogo di nascita e d’elezione di tutti i più importanti compositori e musicisti dell’epoca – un trionfo personale si trasformava in un evento storico.

I Mozart arrivarono a Firenze venerdì 30 marzo 1770 dopo una breve permanenza a Bologna: sul soggiorno felsineo Leopoldo scrisse «Wolfgang qui viene ammirato ancor più che in altre città d’Italia: la ragione è che Bologna è il centro e il luogo di residenza di molti maestri, artisti e studiosi. Anche qui è stato esaminato da cima a fondo» (dalla lettera di Leopold Mozart alla moglie Anna Maria del 27 marzo 1770).

Molto probabilmente Leopold si riferisce all’incontro con Padre Martini, uno dei migliori didatta del tempo, il quale sottopose a Mozart alcuni esercizi di contrappunto. In realtà Wolfgang sarà formalmente esaminato nell’ottobre successivo, sostenendo il severo esame per l’ammissione all’Accademia Filarmonica di Bologna tramite la presentazione di un’antifona a quattro voci composta in mezz’ora. Una volta ricevuto il diploma, anche l’Accademia di Verona, per non essere da meno, volle onorare Amadè del titolo di «maestro di capela».

 

Tragitto seguito dai Mozart da Firenze e Roma, in A. Basso, I Mozart in Italia, Roma, Accademia Nazionale di S. Cecilia, 2006

Diretti a Roma, dove sostarono più di un mese, i Mozart attraversarono gli Appennini seguendo il nuovo tracciato che collegava Bologna a Firenze passando per la Futa e non più per il Passo del Giogo. Aperta nel 1764, la nuova strada carrozzabile era una transappenninica d’interesse nazionale visto che permetteva di raggiungere Firenze in 12-15 ore al massimo, su una carrozza postale forse non troppo comoda ma abbastanza spaziosa da tenere il proprio bagaglio sotto il sedile. Entrati dall’antica Porta di San Gallo, come tutti coloro che provenivano dalla via Bolognese, padre e figlio presero alloggio alla locanda dell’Aquila Nera, in via dei Cerretani, presso il palazzo trecentesco Del Bembo. L’albergo era frequentato da illustri forestieri – diverse sono le testimonianze presenti nei diari di viaggio dell’epoca – ma anche luogo di ritrovo degli intellettuali fiorentini. Leopoldo scrive alla moglie il 3 aprile 1770: «Siamo arrivati felicemente a Firenze il 30 marzo, il 31 siamo tutto il giorno, e Wolfgang, rimasti fino a pranzo a letto, perché aveva preso per la pioggia e il vento forte in montagna, un piccolo catarro. Gli ho fatto somministrare tè e succo di viole per sudare un po’… ».

 

I Mozart furono ricevuti dal conte Orsini Rosenberg il quale, grazie anche alle raccomandazioni del conte Pallavicini e Firmian e dalle notizie ricevute dal Kaunitz, diede loro subito udienza favorendo un incontro immediato con il granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena. Il duca Salviati li accolse a Palazzo Pitti, dove assistettero alla messa mattutina, al termine della quale furono ricevuti dal granduca: egli si dimostrò molto affabile – come scrisse Leopold alla moglie – e dopo un quarto d’ora di conversazione durante la quale chiese notizie anche della giovane Nannerl, conosciuta qualche anno prima a Vienna, li invitò il giorno successivo per un’accademia musicale nella residenza di Poggio Imperiale.

Dell’accademia – come allora si usavano chiamare gli incontri musicali organizzati a corte o presso residenze patrizie – abbiamo una sola diretta testimonianza contenuta nell’ampio carteggio lasciatoci da Leopold Mozart. Nella lettera datata 3 aprile, Leopold scriveva di aver trascorso l’intera serata precedente, fin oltre le ore 22, nella villa del granduca, dove per l’occasione vi erano anche il marchese Eugenio di Ligneville, sovrintendente della musica a corte e importante contrappuntista, e Pietro Nardini, valente violinista fiorentino. L’accademia, continua Leopold nella lettera alla moglie, si svolse «come d’abitudine», ma il successo fu ancora maggiore perché Wolfgang riuscì a suonare e a svolgere le fughe e i temi più difficili proposti da Ligneville con la facilità con cui si «mangia un pezzo di pane».

 

G. Zocchi, Villa di Poggio Imperiale, Firenze, 1744.

Da queste poche indicazioni ma soprattutto dalle convenzioni musicali dell’epoca, descritte in più occasioni anche dallo stesso Leopold, possiamo capire in cosa consistevano le accademie cui Wolfgang partecipava. Innanzitutto vi era una dimostrazione delle abilità di enfant prodige quale interprete al cembalo e al violino. E per rendere l’esibizione ancora più eccezionale, Leopold era solito scalare qualche anno al figlio, che per altro era piuttosto mingherlino. Le capacità di esecutore erano invece esaminate sottoponendo a Wolfgang concerti o sonate da eseguire a prima vista, mentre quelle di compositore presupponevano la creazione, sul momento, di arie partendo da versi o variazioni strumentali su temi dati. Altrettanto importanti all’epoca erano considerate le capacità d’improvvisazione – al pari dei più moderni jazzisti – dimostrate nella realizzazione di fughe, accompagnamenti o sviluppi su temi musicali proposti dal pubblico.

 

Per la brillante riuscita di tutte le prove e la meraviglia suscitata nel pubblico, la fama di Mozart conquistò velocemente l’intera Penisola. La «Gazzetta di Mantova» del 19 gennaio 1770 lo descrive come «un miracolo musicale, uno di quei prodigi che ogni tanto la Natura fa nascere, un Ferracina per umiliare i matematici e una Corilla per degradare i poeti».

Fu proprio a Firenze che Wolfgang ebbe l’occasione di conoscere la famosa poetessa improvvisatrice Maria Maddalena Morelli – in arte Corilla Olimpica – cui era stato paragonato. E se la tappa fiorentina non sortì l’effetto sperato (forse più dal padre che dal figlio) di avere un ruolo presso la corte toscana, diede comunque al giovane Mozart l’opportunità di incontrare e ascoltare i maggiori artisti dell’epoca che furono sicuramente di grande stimolo per la crescita culturale e per la produzione artistica a venire del compositore salisburghese.

Dell’unico passaggio in Toscana di Mozart non rimangono molte testimonianze: oltre alla lettera di Leopold alla moglie, che si chiude con la celebre frase « … mi augurerei che tu potessi vedere con i tuoi occhi Firenze, tutta il territorio e la posizione della città. Diresti che qui si dovrebbe vivere e morire.», abbiamo anche la «Gazzetta Toscana» del 7 aprile 1770, che descrisse l’avvenimento senza particolare enfasi: «Trovandosi in Firenze il sig. Volfang Motzhart [sic], eccellente suonatore di cembalo all’attual servizio di Sua Altezza il Vescovo di Salisburgo, nello scorso lunedì ebbe l’onore di farsi sentire a Corte ove riscosse gli applausi dovuti alla sua abilità. Quello non oltrepassa l’età di tredici anni, ed è così fondato nella musica, che già due anni or sono compose un Dramma, che fu rappresentato in Vienna. […] I più intendenti Professori non fanno che ammirare questo giovinetto, riconoscendo in esso la più rara capacità per profittare quanto si puote in tale arte».

La notizia giornalistica non aggiunge niente di particolare all’evento fiorentino e forse la testimonianza più intima e profonda sulla breve visita dei Mozart è quella lasciata dal promettente violinista inglese Thomas Linley, morto prematuramente in un incidente in battello. Coetaneo di Wolfgang, «Tommasino» era in Italia per studiare con Pietro Nardini: i due ragazzi si conobbero nel salotto di Corilla Olimpica e strinsero immediatamente amicizia, suonando spesso insieme nei giorni successivi. L’amicizia nata tra i due ragazzi e la spontaneità di questi momenti musicali impressionò molto Leopold Mozart il quale, una volta a Roma, volle descrivere alla moglie il particolare incontro, precisando che i due giovani avevano suonato insieme «non come ragazzi, ma come uomini».

Arrivato il momento della partenza di Mozart da Firenze, «l’inglesino», accompagnando l’amico tra le lacrime fino alle porte della città, volle donargli questi versi composti da Corilla, la poetessa che li aveva fatti conoscere:

Per la partenza del Sgr. Amadeo Wolfgango Mozart da Firenze.

 

Da poi che il Fato t’ha da me diviso,

Io non fò che seguirti col pensiero

Ed in pianto cangiai la gioia e il riso;

Ma in mezzo al pianto rivederti io spero.

 

Quella dolce armonia di Paradiso

che a un estasi d’amor mi apri il sentiero

Mi risuona nel cuor, e d’improviso

Mi porta in cielo a contemplare il vero.

 

Oh lieto giorno! o fortunato istante

in cui ti vidi e attonito ascoltai,

E della tue virtù divenni amante.

 

Voglian gli Dei che dal tuo cuor giammai

Non mi departa: Io ti amerò costante.

Emul di tua virtude ognor mi avrai.

 

In segno di sincera stima

ed affetto

Tommaso Linley

 

 

Bibliografia di riferimento

  • M. Solomon, Mozart, Milano, Mondadori, 2006
  • L. Chimirri, P. Gibbin, M. Migliorini (a cura di), Mozart a Firenze… qui si dovrebbe vivere e morire. Catalogo della mostra (Firenze, 22 settembre-21 ottobre 2006), Firenze, Vallecchi, 2006

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