Domenico Lenzi detto Il Biadaiolo
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Domenico Lenzi detto ‘il Biadaiuolo’ è l’autore dello Specchio Umano, un testo considerato di grande interesse per la storia economica e artistico letteraria della Firenze del Trecento.
Ridottissime (e controverse) le notizie biografiche su di lui. Fineschi, lo studioso che per primo diede alle stampe il testo dello Specchio nel XVIII secolo, lo identificò in uno dei tre fratelli (Piero, Giovanni e Domenico di Lenzo) appartenenti a una famiglia di biadaioli i cui membri, tra Tre e Quattrocento, ebbero diverse volte accesso al priorato. Vittore Branca, nella seconda metà del secolo scorso, rinvenne documentazione relativa a un Lorenzo di Federigo Bencivenni probabile padre del nostro Domenico che lo indicava come proveniente da Peretola, popolo di san Biagio a Petriolo, piviere di Campi e insediato già dal principio del Trecento a Firenze nel quartiere di Santa Maria Novella, nel popolo di santa Lucia Ognissanti. Il padre di Domenico fu un agiato mercante di grani, possedette dimore in città e terre nel contado di provenienza e da lui ebbe origine una lunga discendenza di biadaioli, professione esercitata a Firenze da un numero modesto di individui. Un Domenico biadaiolo -forse proprio il nostro- fu tra i fornitori del convento della ss. Annunziata a partire dal 1321. Morì probabilmente in occasione dell’epidemia di peste del 1348 poiché nei documenti successivi a quella data non se ne ha più notizia. Nel suo libro egli dedica poco spazio alle notizie autobiografiche, si limita ad affermare di essere nato e cresciuto a Firenze, di essere “grosso e ydiota componitore” e di non conoscere il latino. Fu un probabile autodidatta, istruito alla tenuta di un libro di conti e conoscitore tuttavia dei testi volgari più diffusi (Dante, la cronachistica ma anche Seneca). Il libro del L. elenca prezzi desunti da altri biadaioli fino al 1320, dati schematici sui prezzi del grano dal 1320 al 1329 e solo dal 1329 da’ spazio a notizie relative alle vicende politiche e sociali, frutto dell’osservazione diretta dell’A. Ciò, come osserva Giuliano Pinto, porta a credere che tra il 1320 e il 1329 egli fosse ancora troppo giovane per scrivere un personale libro di conti ma che tuttavia non disdegnasse di aiutare il padre nella sua attività. Il codice, databile al principio del quarto decennio del secolo XIV, è un’opera resa pregevole – oltre che dall’ attenzione dettagliata ai prezzi e alle diverse tipologie di grani e biade distinte in categorie e indicate sulla base della provenienza – dall’uso regolare delle immagini. Sono figure di “exemplum” che concorrono insieme al testo ad un insegnamento di fede nella provvidenza e di morale conservatorismo. Si rappresenta ambiente cittadino e contadino in tempo di abbondanza e in tempo di carestia, si raffigura la contrapposizione talora anche violenta tra le città toscane e in questa ‘lotta’ dipinta si concede a Firenze un ruolo di amministratrice lungimirante e pietosa. Altrettanto la parte scritta, didascalica offre al lettore un vivace affresco della società dell’epoca, della precarietà dei suoi protagonisti e delle loro difficoltà nello sbarcare il lunario: per esempio nel racconto della carestia della fine degli anni venti o nel ricordo dell’alluvione del 1333.

Opere
P. Fanfani, Estratto dal Diario di Domenico Lenzi biadajolo, «Il Borghini», II (1864), pp. 99-108, 157-169; 215-229; 288-297;
G. Pinto, Il libro del biadaiolo. Carestia e annona a Firenze dalla metà del ‘200 al 1348, Firenze, Olschki, 1978.

Studi su Domenico Lenzi detto Il Biadaiolo
V. Branca, Un biadaiuolo lettore di Dante nei primi decenni del ‘300, «Rivista di cultura classica e medioevale», VII (1965), pp. 200-215;
G. Pampaloni, A proposito dell’edizione del “Libro del biadaiolo” di Domenico Lenzi, «Archivio Storico Italiano», CXXXVII (1979), p. 315-334;
F. Pezzarossa, voce Lenzi detto il Biadaiolo, Domenico in Dizionario biografico degli italiani, LXIV, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2005, pp. 384-386.