Gennaio 1605: inizia l’edificazione della Cappella dei Principi

Immagine di copertina:

Cappella dei Principi, interno.



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di Monica Bietti (direttrice del Museo delle Cappelle Medicee e responsabile del complesso di San Lorenzo, Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze)

 

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L’altare progettato da Amedeo Orlandini e collocato nel 1938. Firenze, Cappella dei Principi (l’immagine è tratta dal sito dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza)

La Cappella dei Principi è un grande e splendente scrigno incrostato al suo interno di pietre dure; maestoso e sobrio all’esterno in pietra forte e marmi bianchi, con la sua grande cupola coperta in mattoni rossi che si riconosce nella veduta della città per le sue imponenti dimensioni, inferiori solo a quella del Brunelleschi, della quale riprende le forme.

 

Il grandioso ambiente ottagonale è largo oltre 30 metri e raggiunge un’altezza di circa 60 metri. La possenza del monumento, vera e propria basilica a pianta circolare posta sul retro del presbiterio della chiesa di San Lorenzo dalla quale doveva apparire visibile, è la testimonianza tangibile del messaggio che la famiglia Medici voleva esprimere: un luogo di memoria, destinato a ospitare le spoglie mortali dei componenti il ramo granducale, un monumento magnifico per forma e dimensione che dimostrasse per sempre il loro ruolo politico e culturale rendendo loro fama illimitata.

L’idea di costruire una terza cappella, baricentrica rispetto alle due sagrestie (Vecchia e Nuova) della basilica laurenziana, risale a Cosimo I e vede come protagonista il suo architetto di fiducia Giorgio Vasari, che ne dà prima notizia nelle Vite: «non dirò di me altro, se non che, per grandi e d’importanza che sieno state le cose che ho messo sempre innanzi al duca Cosimo, non ho mai potuto aggiungere, non che superare, la grandezza dell’animo suo; come chiaramente vedrassi in una terza sagrestia che si vuol fare a canto a San Lorenzo, grande, e simile a quella che già vi fece Michelagnolo, ma tutta di vari marmi mischi e musaico, per dentro chiudervi in sepolcri onoratissimi e degni della sua potenza e grandezza, l’ossa de’ suoi morti figliuoli, del padre, madre, della magnanima duchessa Leonora, sua consorte e di sé. Di che ho io fatto un modello a suo gusto, e secondo che da lui mi è stato ordinato; il quale mettendosi in opera, farà questa essere un nuovo mausoleo magnificentissimo e veramente reale».

Quando Vasari pubblica le Vite nel 1568, l’opera è ancora solo un’idea di Cosimo I, e non troverà esecuzione per la morte, quasi contemporanea, dei due protagonisti. Dell’esistenza del modello (ligneo?) che l’architetto aveva realizzato secondo le intenzioni di Cosimo non resta traccia; né sono stati finora reperiti disegni vasariani per questa idea.

 

P. Tacca, Ferdinando I de' Medici, 1626-1632. Firenze, Cappella dei Principi (l’immagine è tratta dal sito dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza)

È Ferdinando I, terzo granduca di Toscana, che interpreta e realizza il sogno del padre. Prima ancora di indire un concorso per il progetto, il granduca stipendia alcuni scalpellini per approvvigionarsi di diaspri e marmi rari in Corsica e nel veronese da destinare al mausoleo. Già dagli anni Novanta i documenti testimoniano un gran lavoro di scelta e tagli di pietre dure e marmi rari destinati alla decorazione del mausoleo.

 

Al concorso indetto nel 1596 partecipano i principali architetti, decoratori, pittori e scultori fiorentini del momento: Bernardo Buontalenti, Gherardo Silvani, Matteo Nigetti, Giovanni de’ Medici, Santi di Tito, Alessandro Pieroni, che propongono ciascuno un modello ligneo; viene selezionato il progetto di Don Giovanni (figlio naturale e riconosciuto di Cosimo I e di Eleonora degli Albizi, architetto e condottiero, colto ed educato a corte), che lo aveva redatto assieme al Pieroni.

Un nuovo concorso è indetto nel 1602, e stavolta vi partecipano solo Buontalenti e Don Giovanni; sarà il secondo il prescelto. Nel 1604 Don Giovanni esegue il progetto definitivo, in cui vengono adottati anche alcuni suggerimenti del Buontalenti, oggi riconoscibili solo nelle due scalinate che salgono dalla cripta al piano della Cappella. Soprintendente alla fabbrica viene nominato Matteo Nigetti, che mantiene l’incarico fino alla morte avvenuta nel 1649.

Il 12 maggio 1604 Ferdinando va finalmente a tirare le corde dei fondamenti dell’edificio e il 5 o 6 agosto viene sancito l’inizio dell’edificazione con la posa della prima pietra affidata al primogenito Cosimo, fornito di una zappa e una pala per cavare terra e un corbello per raccoglierla, il tutto finemente dorato. Della cerimonia riferisce Francesco Settimanni, mentre le due targhe in marmo bianco, poste nel 1640 a metà scale, recitano che il lavoro viene iniziato il 10 gennaio 1605 (stile corrente).

Già dal 1599 Ferdinando I aveva chiamato a Firenze maestranze specializzate romane che aveva ospitato a corte e per le quali aveva aperto un laboratorio, un vero e proprio opificio, presso la galleria degli Uffizi, detta «Galleria dei Lavori». La tecnica messa a punto suscitò grande apprezzamento fra i regnanti, cui i Medici inviavano in dono oggetti lavorati in pietre dure che divennero presto ambitissimi, risultando essi stessi l’immagine del piccolo ma raffinato granducato di Toscana.

Del 1602 è la legge per la raccolta delle pietre dure in tutto il granducato e del 1604-1605 sono i documenti con i nomi degli artefici, fra i quali troviamo, assieme ai maestri muratori, «cavatori», «tagliatori», «gioiellieri» e «orafi». La ricerca dei materiali, in particolare delle preziose pietre dure da adoperarsi per la Cappella, prosegue incessante e dal 28 luglio iniziano notizie di viaggi e spese fatte per l’acquisto di pietre fuori dalla Toscana, mentre passa in secondo piano l’interesse per materiali di recupero classico provenienti da scavi. Deve essere di questo periodo la messa a punto dell’organizzazione del cantiere, che vede l’arrivo delle pietre a Livorno, una prima lavorazione a Pisa da dove, tramite navicello che percorre l’Arno, le pietre giungono a Firenze dove vengono tagliate a dovere. I diaspri di Sicilia, i marmi neri di paragone, verdi, diaspri e granito di Corsica, rossi di Barga, verdi rossi e gialli di Sicilia, lo smeriglio per la lavorazione, il costo per curare gli schiavi che si ammalavano, ogni particolare viene descritto nei documenti.

La morte del Buontalenti (1608) e poi di Ferdinando I (1609) non arrestano la costruzione e la sua decorazione, come mostra il volume di Entrata e Uscita tenuto da Matteo Nigetti, responsabile della fabbrica. Dal 1607 al 1609 Lorenzo Latini, aiutante del Buontalenti, lavora a una statua raffigurante Cosimo I, scultura ora perduta. Nel 1611 la costruzione risulta condotta sino all’imposta degli archi e nel 1613 si inizia a «incrostare» la Cappella con la decorazione a vasi e stemmi, nonostante non fosse ancora stata voltata la cupola. Questo lungo e delicato lavoro prosegue incessantemente e ancora negli anni successivi sono registrati tutti gli arrivi e la lavorazione dei preziosi pezzi di diaspro, lavagne, marmi, alabastri, bardigli, graniti, agate, porfido, fino al 1624.

Dopo la morte di Cosimo II (1621) e durante il lungo regno del figlio Ferdinando II (1621-1670) le spedizioni di materiali sembrano diminuire, ma sono tuttavia registrate, segno che i lavori proseguono; solo nel 1655 si ha però notizia del getto di calcestruzzo per la cupola del coro. In questa fase sono realizzati i grandi ritratti a figura intera dei Granduchi (Pietro e Ferdinando Tacca, Ferdinando I; Pietro Tacca, Cosimo II), eseguiti tra il 1626 e il 1642 su commisione di Ferdinando II. In ogni nicchia avrebbe dovuto trovare posto la statua del granduca corrispondente, ma solo quelle di Ferdinando I e del figlio Cosimo II sono state realizzate.

Nel 1649, come direttore della fabbrica, a Nigi subentra Giovan Battista Balatri, che arriva fino alla realizzazione a grezzo della cupola (1655). Seguono anni bui, in parte dovuti a ridotte possibilità economiche, in parte a volontà e idee diverse del granduca Cosimo III: tuttavia, sebbene con ancor più lentezza, la fabbrica continua. Si sostituisce il lavoro in pietra dura con la coloritura delle pareti a imitazione della medesima.

Solo con Anna Maria Luisa de’ Medici, ultima della dinastia, il progetto riprende vigore, con la realizzazione dell’esterno della Cappella dei Principi con il tamburo segnato da grandi finestre a campana, la cupola con cornicioni in marmo e finale in tutto simile al Duomo di Firenze, nella forma e dimensioni disegnate da Ferdinando Ruggieri, con la conclusione della decorazione litica delle cappelline, con il progetto generale dell’interno, ancora ad opera del Ruggeri. In un libro di «spese per il risarcimento e ornati della Real Cappella» iniziato l’1 ottobre 1740 si trovano tutte le notizie dei lavori voluti dall’Elettrice Palatina, che impegnarono anche la basilica di San Lorenzo. Il progetto dell’Elettrice è testimoniato da due bei modelli ancora esistenti, il primo presso il museo delle Cappelle Medicee, il secondo presso quello dell’Opificio delle Pietre Dure. L’interno mostra la decorazione della parte alta e centinata delle cappelline e la realizzazione dei cartocci con gli stemmi medicei, cui avrebbe dovuto far seguito una serie di nicchie e aperture fiancheggiate da colonne e paraste terminanti con timpani a triangolo o ad arco ribassato. La volta, a spicchi, avrebbe dovuto essere dipinta a buon fresco secondo il modello di Antonio Nicola Pillori.

Alla morte dell’Elettrice nel 1743 ancora una volta il progetto viene interrotto. È per volontà di Ferdinando III di Lorena, nel 1791, che esso viene ripreso e si deve al granduca lorenese la sistemazione del sepolcreto mediceo nella cripta, mentre Leopoldo II fa decorare, fra il 1827 e il 1836, l’intradosso della cupola a Pietro Benvenuti con soggetti legati alla Genesi. Sempre a Leopoldo II si deve l’esumazione, ricognizione e definitiva sistemazione delle sepolture nel 1857: le spoglie dei granduchi e dei loro familiari (una cinquantina) fino a Anna Maria Luisa de’ Medici sono conservate nella cripta al piano terra.

Nonostante l’impegno dei Lorena e la molta documentazione attestante i lavori di conservazione della Cappella e il progetto della sua pavimentazione (1857) l’opera interna ed esterna non viene portata a conclusione e ancora nel 1882 un Regio Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione – essendo la Cappella divenuta monumento dello Stato per la devoluzione dell’asse ecclesiastico – decreta che sia eseguito il pavimento in marmi e pietre dure. Il disegno è messo a punto da Edoardo Marchionni, primo direttore del Museo (dal 1873) e autore della prima guida dello stesso (1891). Il pavimento è portato a conclusione dall’Opificio delle Pietre dure solo nel 1962.

In tale complesso percorso costruttivo una trattazione a sé richiede l’altare. Nel progetto della Cappella, Ferdinando I aveva messo al primo posto la realizzazione di un maestoso altare che aspirava a essere unico nel suo genere per il sofisticato programma iconografico e la rarità e preziosità dei materiali costitutivi. In sintonia con i dettati della Controriforma, l’altare era destinato all’eterna glorificazione di Dio, testimoniando ad un tempo la devozione del principe, la sua raffinatezza e squisita sensibilità artistica, la ricchezza della casata e le sue aspirazioni politiche di portata europea.

Cappella dei Principi, interno

Il complesso e grandioso altare con il magnifico ciborio doveva trovar posto davanti all’abside, lungo l’asse verticale della Cappella, per essere esaltato dalla luce delle retrostanti finestre con effetto di ‘trasparenze’ e colori teatrale e spettacolare. Le grandi colonne in cristallo di rocca avrebbero sorretto il ciborio inondato di luce, che sarebbe divenuto esso stesso luce terrena e divina, con una copertura a scaglie di cristallo e le nicchie abbinate allo sportello del Santissimo Sacramento, anch’esse con colonne di cristallo. Secondo quanto prescritto dalla Controriforma i fedeli sarebbero stati ‘ammaestrati’ dalle storie bibliche in pannelli in commesso di pietre dure eseguiti con la chiarezza del linguaggio necessaria al messaggio voluto dal Concilio tridentino, in cui gli eroi della fede, in veste di grandi figure, si muovono sulla ribalta scenica con una gestualità mimica e diretta. Avendo letto le storie bibliche, lo spettatore sarebbe poi stato attratto dalla luce e guidato verso le reliquie poste nelle nicchie, per arrivare al tabernacolo, luce totale e risposta conclusiva del percorso della sacra lettura fino alla Resurrezione. Sul frontone dell’arco trionfale avrebbero trovato posto le insegne di Ferdinando I, regista e donatore di questo spettacolo artistico e spirituale insieme.

 

L’altare, che risultava quasi finito nel 1653, fu completamente smontato nel 1779 per volere di Pietro Leopoldo, che decise di utilizzare gran parte delle storiette e degli elementi decorativi esistenti per la realizzazione di tre nuovi altari (nella Cappella Palatina in Palazzo Pitti, nella basilica di San Lorenzo, a Poggio Imperiale).

Fu Ferdinando III a dare avvio alla progettazione di un nuovo modello, di cui restano alcuni disegni di Carlo Siries, subentrato al padre Luigi della direzione della manifattura della Real Galleria dei Lavori. Di questa fase sono gli splendidi pannelli intarsiati (presso il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure), e i quattro vasi con emblemi liturgici in calcedonio su fondo di lapislazzuli, ora montati nell’attuale altare della Cappella dei Principi e fra le migliori creazioni del tempo, assieme al paliotto con la Cena in Emmaus, anch’esso inserito nell’attuale altare. I lavori andarono spediti nei primi anni; intervenne poi qualcosa, non ancora chiaro, a rallentarli ancora e ad impedire che arrivassero a conclusione.

Con l’unità d’Italia il progetto lorenese fu abbandonato. Dall’agosto del 1859 la manifattura dipendeva dal Ministero della Pubblica Istruzione e il nuovo direttore, Niccolò Betti, sottopose al ministro un nuovo progetto. E mentre il nuovo Museo delle Cappelle Medicee prendeva forma e avviava una nuova fase della sua storia, una disposizione ministeriale, del 1861, decretava la messa in vendita dei pezzi antichi e recenti disponibili presso la manifattura dell’Opificio delle Pietre Dure, così che essa cessasse di essere «un aggravio». In quegli anni furono venduti pezzi straordinari, ma l’Opificio non chiuse e nel 1882 un nuovo regolamento gli fece ottenere lo status di Museo, impedendo definitivamente l’ulteriore dispersione del patrimonio.

Nel 1927 l’Opera Medicea Laurenziana – organismo nato nel 1908 – incaricò Amedeo Orlandini di un nuovo progetto per l’altare che prevedesse il massimo sfruttamento del materiale esistente. Nel 1937 si decise di montare, nel Museo dell’Opificio, un modello ligneo, seguendo il progetto dell’Orlandini, in cui via via sarebbero stati disposti i manufatti in pietra esistenti e quelli appositamente realizzati. Il modello così concepito non convinse; tuttavia, nel 1938, in occasione della visita di Hitler a Firenze, l’Orlandini lo fece trasferire al Museo delle Cappelle Medicee, dando così una parvenza di altare alla Cappella dei Principi.

Una commissione ministeriale, nominata nel 1941, esprimerà un giudizio completamente negativo sulla realizzazione del progetto e sulla permanenza del modello nella Cappella, decidendo al contempo di bandire un concorso che non si svolgerà mai. Nel dopoguerra si è assistito alla conclusione del pavimento, ma il modello ligneo dell’altare è rimasto in loco, oggetto di un dibattito ancora aperto circa la sua collocazione in quella Cappella dei Principi che risulta un esempio straordinario di esaltazione della dinastia e di propaganda politica, paragonabile non per stile, ma per spirito, al San Lorenzo dell’Escorial a Madrid, dove riposano i re di Spagna, alla Cripta del Cappuccini mausoleo degli Asburgo a Vienna, o alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo dei Romanov a San Pietroburgo.

 

Bibliografia di riferimento

 

  • E. Marchionni, Guida per il visitatore dell RR. Cappelle Medicee e R. Opificio delle Pietre dure in Firenze, Firenze, Tipografia per i minori corrigendi, 1891
  • L. Berti, Il principe dello Studiolo. Francesco I dei Medici e la fine del Rinascimento fiorentino, Firenze Editrice Edam 1967
  • U. Baldini, A. Giusti, A. Pampaloni Martelli (a cura di), La Cappella dei Principi e le pietre dure a Firenze, Milano, Electa, 1979
  • S. Casciu (a cura di), La principessa saggia. L’eredità di Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina, Catalogo della mostra (Firenze 2006), Livorno, Sillabe, 2006
  • M. Bietti, A. Giusti (a cura di), Ferdinando I de’ Medici 1549-1609. Maiestate Tantum, Catalogo della mostra (Firenze 2009), Livorno, Sillabe 2009
  • A. Paolucci, Il Museo delle Cappelle Medicee e San Lorenzo, con introduzione di M. Bietti, Livorno, Sillabe, 2010
  • M. Bietti (a cura di), Arte e Politica. L’Elettrice Palatina e l’ultima stagione della committenza medicea in San Lorenzo, Catalogo della mostra (Firenze 2014), Livorno, Sillabe, 2014

 

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 27 dicembre 2014)

 


Come citare questo articolo: Monica Bietti, Gennaio 1605: inizia l’edificazione della Cappella dei Principi, in "Portale Storia di Firenze", Gennaio 2018, https://www.storiadifirenze.org/?temadelmese=gennaio-1605-inizia-edificazione-della-cappella-dei-principi
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