Novembre 1786: l’abolizione della pena di morte e la Festa della Toscana

Immagine di copertina:

Wilhelm Berczy, Il Granduca Pietro Leopoldo e la sua famiglia, 1781. Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d'Arte Moderna



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di Marcello Verga

Giuseppe Zocchi, Il Bargello, 1744 (si noti il supplizio della fune)

Il 21 giugno del 2001 una legge del Consiglio Regionale della Toscana istituiva la Festa della Toscana. Dei tre articoli della legge, il primo motivava l’istituzione della festa nella ricorrenza della pubblicazione della legge penale con la quale nel novembre del 1786 il granduca Pietro Leopoldo – primo esempio nel mondo – decretava l’abolizione della pena di morte.

 

La Festa della Toscana, si legge nell’articolo 1 prima ricordato, “è la solenne occasione per meditare sulle radici di pace e di giustizia del popolo toscano, per coltivare la memoria della sua storia, per attingere alla tradizione di diritti e di civiltà che nella regione Toscana hanno trovato forte radicamento e convinta affermazione, per consegnare alle future generazioni il patrimonio di valori civili e spirituali che rappresentano la sua originale identità”. Un richiamo alla costituzione della Repubblica Italiana e alla carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea chiudeva, infine, l’articolo di legge.

E’ facile, ma sarebbe profondamente ingiusto, criticare il tono enfatico più che retorico con il quale il Consiglio Regionale rivendicava, a partire da una legge voluta da un principe Asburgo poco capito e amato a Firenze, una originale identità toscana. Come tutti i “miti” identitari, anche la Festa della Toscana gioca con la storia una sua particolare partita: di un “uso” della storia – di una battaglia, di una legge, di un eroe – ai fini appunto della creazione di un discorso pubblico capace di mobilitare le coscienze e i sentimenti di appartenenza di una comunità. Tanto più quando il discorso che si intende creare è al servizio di una causa, l’abolizione della pena di morte, alla quale la Repubblica Italiana, nella sede delle Nazioni Unite, ha dato poi un contributo fondamentale promuovendo, insieme ad altri paesi, l’adozione della risoluzione 62/149 per una moratoria della pena capitale, nel corso della sessione generale del dicembre 2007.

 

 

C. Beccaria, Dei delitti e delle pene edizione rivista, Londra [ma Livorno

Non importa, dunque, notare che la pena di morte fu presto reintrodotta in Toscana dopo che Pietro Leopoldo ebbe lasciato il granducato per il trono del Sacro Romano Impero o che alcuni articoli del cosiddetto “codice” penale leopoldino contengono disposizioni fortemente discriminatorie nei confronti degli ebrei, segnando un passo indietro rispetto alla legislazione sulla riforma delle comunità che invece riconosceva per alcune piccole comunità dello stato il diritto dei proprietari ebrei a concorrere all’estrazione per le cariche municipali; né che la legge era parte di un più complesso progetto di riforma dello stato che avrebbe dovuto trovare nell’adozione di una costituzione il suo punto di arrivo. Quel che conta – ed è questo l’aspetto più rilevante della istituzione della Festa della Toscana – è il richiamo al principio della abolizione della pena di morte e la volontà di legare ad esso la storia e la stessa identità della Toscana. Segno certo di una istituzione – il Consiglio Regionale –, di un ceto politico che hanno voluto e hanno saputo rivendicare una tradizione di rispetto della vita e dei diritti fondamentali – e tra questi l’abolizione della pena di morte – quale elemento intorno al quale costruire un senso condiviso di “essere toscani”.

 

Non a caso la legge di Pietro Leopoldo, per la novità e radicalità dei principi che dichiarava, era stata salutata quale affermazione di nuovi valori che avrebbero dovuto legittimare il potere e i rapporti tra questo e i cittadini, sulla linea di quel celebre libro, edito a Livorno nel 1764, che è De’ delitti e delle pene di Cesare Beccaria. Già nello stesso 1786 Giuseppe Pelli Bencivenni e altri importanti ministri e funzionari del governo, su impulso del consigliere di Stato, Francesco Seratti, pensarono che fosse opportuno celebrare la legge penale con una iscrizione – va posta in italiano sotto la Loggia dei Lanzi, scriveva Giuseppe Pelli Bencivenni nelle sue “Efemeridi” del 26 dicembre del 1786, acciò possa essere intesa dal popolo, e non già al palazzo di giustizia ove non si va mai tranquilli, e sereni – e con la coniazione di una medaglia. E questo era il progetto del Pelli per la medaglia:

 

  1. Ritratto di Sua Altezza Reale col nome, e l’anno vigesimo del suo regno. Rovescio: una base sulla quale posi un libro aperto, nella base, o ara leggasi “PRIO. KAL. DEC. MDCCLXXXVI”. Intorno “MEDITABITUR. IUSTITIAM. TUAM.”.
  2. Il Diritto medesimo. Rovescio: la Giustizia con i suoi simboli in atto di sedere, e di calpestare delle mannaje ed altri strumenti di dolore. Attorno “AEQUITATE. TRIUMPHAT”. Nell’essergo “PRID. KAL. DEC. MDCCLXXXVI.
  3. Lo stesso Diritto. Rovescio: Giove sedendo in una nuvola in aria maestosa, e placida senza fulmini. Intorno “NON. METU. SED. IUSTITIA.” ovvero “METU. NON. IRA.” Nell’esergo “PRID. KAL. DEC. MDCCLXXXVI.

 

È dunque una scelta significativa sul piano politico e civile quella che il Consiglio Regionale della Toscana adottò nel 2001, legando in modo diretto la storia della Regione ad un momento alto della storia europea: l’abolizione della pena di morte e, più in generale, l’affermazione di quei principi ai quali si sarebbe dato il titolo di “civiltà giuridica”.

E nulla meglio di alcuni passi del testo di Pietro Leopoldo può servire a comprendere la rilevanza di un momento della storia della Toscana che il Consiglio Regionale intende ogni anno, il 30 novembre, richiamare all’attenzione dei toscani e degli uomini e delle donne di tutti i paesi:

 

Fino al nostro avvenimento al trono di Toscana riguardammo come uno dei nostri principali doveri l’esame e riforma della legislazione criminale, ed avendola ben presto riconosciuta troppo severa, e derivata da massime stabilite nei tempi meno felici dell’Impero Romano, o nelle turbolenze dell’anarchia dei bassi tempi, e specialmente non adatta al dolce e mansueto carattere della nazione, procurammo provvisionalmente temperarne il rigore con istruzioni ed ordini ai nostri tribunali, e con particolari editti con i quali vennero abolite le pene di morte, la tortura, e le pene immoderate e non proporzionate alle trasgressioni ed alle contravvenzioni alle leggi fiscali finché non ci fossimo posti in grado, mediante un serio e maturo esame, e col soccorso dell’esperimento di tali nuove disposizioni di riformare intieramente la detta legislazione. Con la più grande soddisfazione del nostro paterno cuore abbiamo finalmente riconosciuto che la mitigazione delle pene, congiunta con la più esatta vigilanza per prevenire le ree azioni, e mediante la celere spedizione dei processi, e la prontezza e sicurezza della pena dei veri delinquenti, invece di accrescere il numero dei delitti ha considerevolmente diminuiti i più comuni, e resi quasi inauditi gli atroci, e quindi siamo venuti nella determinazione di non più lungamente differire la riforma della legislazione criminale con la quale, abolita per massima costante la pena di morte, come non necessaria per il fine propostosi dalla società nella punizione dei rei, eliminato affatto l’uso della tortura, la confiscazione dei beni dei delinquenti come tendente per la massima parte al danno delle loro innocenti famiglie che non hanno complicità nel delitto, e sbandita dalla legislazione la moltiplicazione dei delitti impropriamente detti di lesa maestà, con raffinamento di crudeltà inventate in tempi perversi, e fissando le pene proporzionate ai delitti, ma inevitabili nei rispettivi casi, ci siamo determinati a ordinare con la pienezza della nostra suprema autorità quanto appresso […]

 

XXIX. Incarichiamo i giudici e gli attuarii criminali ad usare tutta l’attenzione e premura per la sollecita ultimazione dei processi, e massimamente dei carcerati, preferendo la spedizione dei medesimi a qualunque altro affare che avessero avanti di loro, con l’avvertenza sempre presente, oltre quella di esaminare subito il re venuto che sia nelle forze, che la carcere la quale soffrono i rei mentre pende il processo, non è che per semplice loro custodia onde esige che ne venga ad essi alleggerito l’incomodo, non solo con la minor durata possibile, ma ancora per ogni altro mezzo compatibile con lo stato di rei, nel quale si trovano […].

XXXIII. Conferiamo colla nostra sovrana autorità e con speciale determinazione l’abolizione della tortura […].
L. In tutte le cause criminali dovrà deputarsi un difensore all’imputato povero o miserabile in quei luoghi dove non sia stabilmente destinato l’avvocato dei poveri rei, e quando lo stesso imputato manchi del suo particolar difensore; ed al detto difensore si dovrà comunicare la copia degli atti, e darglisi comodo di conferire col medesimo imputato ancorché sia carcerato, onde possa rilevare i lumi per la di lui difesa […].
LI. Abbiamo veduto con orrore con quanta facilità nella passata legislazione era decretata la pena di morte per delitti ancor non gravi, ed avendo considerato che l’oggetto della pena deve essere la soddisfazione al privato ed al pubblico danno, la correzione del reo, figlio anche esso della società e dello Stato, della cui emenda non può mai disperarsi, la sicurezza, nei rei dei più gravi ed atroci delitti, che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il pubblico esempio che il governo nella punizione dei delitti, e nel servire agli oggetti ai quali questa unicamente è diretta, è tenuto sempre a valersi dei mezzi più efficaci col minor male possibile al reo, che tale efficacia, e moderazione insieme si ottiene più che con la pena di morte, con la pena dei lavori pubblici, i quali servono di un esempio continuato, e non di un momentaneo terrore che spesso degenera in compassione, e tolgono la possibilità di commettere nuovi delitti, e con la possibile speranza di veder tornare alla società un cittadino utile e corretto; avendo altresì considerato che una ben diversa legislazione potesse più convenire alla maggior dolcezza, e docilità di costumi del presente secolo, e specialmente nel popolo toscano, siamo venuti nella determinazione di abolire come abbiamo abolito con la presente legge per sempre la pena di morte contro qualunque reo, sia presente, sia contumace, ed ancorché confesso e convinto di qualsivoglia delitto dichiarato capitale dalle leggi fin qui promulgate, le quali tutte vogliamo in questa parte cessate ed abolite […]
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La legge toscana del 30 novembre 1786 rappresenta il precedente più significativo di una battaglia per l’abolizione della pena di morte e della tortura che ancora oggi deve essere combattuta.

 

Bibliografia di riferimento

B. Sordi, L’amministrazione illuminata: riforma delle comunità e progetti di costituzione nella Toscana leopoldina, Milano, Giuffrè, 1991

M. Verga, La cultura del Settecento. Dai Medici ai Lorena, in F. Diaz (a cura di), Storia della civiltà toscana. V. I Lumi del Settecento, Firenze, Le Monnier, 1999, pp. 125-152

D. Zuliani, La riforma penale di Pietro Leopoldo. Presentazione storica, indice delle edizioni, testo critico e indice lessicale della Legge toscana del 30 novembre 1786, 2 voll., Milano, Giuffrè, 1995

A. Wandruska, Pietro Leopoldo, un grande riformatore, Firenze, Vallecchi, 1968

 

Elenco dei link

Legge regionale 21 giugno 2001, n. 26 – Istituzione della Festa della Toscana

Biografia di Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena

Scheda sul “codice” penale leopoldino

Materiali sul progetto di costituzione di Pietro Leopoldo

Biografia di Giuseppe Beccaria

Biografia di Giuseppe Pelli Bencivenni e suoi testi in consultazione

Biografia di Giuseppe Pelli Bencivenni

“Efemeridi” di Giuseppe Pelli Bencivenni


Come citare questo articolo: Marcello Verga, Novembre 1786: l’abolizione della pena di morte e la Festa della Toscana, in "Portale Storia di Firenze", Novembre 2015, https://www.storiadifirenze.org/?temadelmese=novembre-1786-abolizione-della-pena-di-morte-e-la-festa-della-toscana
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