8 marzo 1944: da Firenze a Mauthausen

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di Francesca Cavarocchi (Istituto Storico della Resistenza in Toscana)

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]


 

Nel pomeriggio dell’8 marzo 1944 un treno composto da carri bestiame sigillati partì dalla stazione di Santa Maria Novella alla volta del campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo. A essere trasferite furono alcune centinaia di persone. Obiettivo delle autorità tedesche che occupavano Firenze dal settembre del 1943 era sia quello di procedere ad una repressione esemplare dell’attività clandestina, sia quello di inviare una quota significativa di uomini abili al lavoro nel Reich.

 

Il periodico fiorentino «L’Azione comunista», numero del 15 marzo 1944, all’indomani degli scioperi

Anche a Firenze si era svolto infatti, fra il 3 e il 4 marzo, lo sciopero generale sostenuto dal Comitato di liberazione nazionale, che ebbe come epicentro i grandi insediamenti industriali di Torino e Milano: esso abbinava rivendicazioni economiche e politiche, ma intendeva essere soprattutto una vistosa prova di forza contro le autorità tedesche e la Repubblica Sociale Italiana (RSI). Le condizioni produttive del capoluogo toscano erano molto differenti rispetto a quelle del triangolo industriale: ad alcuni grandi complessi, come la Galileo e la Pignone, si affiancava un tessuto di piccole e medie aziende. Nonostante la produzione fosse in quella fase molto ridotta, con vari impianti chiusi o requisiti dai tedeschi, gli scioperanti furono alcune migliaia; ampia fu la partecipazione dei lavoratori del settore meccanico, del tessile a Prato, delle vetrerie empolesi. Si verificarono episodi anche in altri centri della regione, come Santa Croce sull’Arno. La risposta della base operaia fu dunque significativa e colse di sorpresa gli stessi occupanti: si trattò di una forma di reazione in buona parte spontanea, motivata dal crescente peggioramento delle condizioni alimentari e salariali. Essa si dovette anche all’importante lavoro organizzativo svolto da una serie di comitati di fabbrica clandestini, animati soprattutto da delegati del partito comunista.

 

 

Inserzione pubblicata su «La Nazione» nel marzo 1944

La reazione delle autorità tedesche fu immediata: nei giorni successivi si svolsero centinaia di arresti, eseguiti in massima parte dagli apparati italiani, ovvero dalla Guardia nazionale repubblicana. I fermati furono rinchiusi nel centro di raccolta delle scuole Leopoldine in piazza Santa Maria Novella; qui si svolsero interrogatori e controlli, che condussero alla liberazione di alcune decine di persone. Se a Empoli e Montelupo si operò prevalentemente sulla base di liste di scioperanti e antifascisti, nel capoluogo ebbero un ruolo centrale le retate in strada svolte in vari quartieri: fra i luoghi degli arresti si segnalavano piazza dei Nerli nel rione di San Frediano, la zona della Stazione, Borgo Albizi, piazza Dalmazia.

 

La vicenda del diciassettenne Mario Piccioli è un buon esempio del criterio casuale con cui fu condotta l’operazione: la mattina dell’8 egli si era recato alle Leopoldine per chiedere notizie della madre, fermata dopo aver partecipato allo sciopero della cartiera Cini; mentre la donna sarebbe stata rilasciata in giornata (le operaie furono in quella circostanza escluse dalla deportazione), Mario fu invece arrestato e condotto oltre il Brennero. Dalla provincia fiorentina partirono più di 300 persone, un centinaio dal capoluogo: si trattava per la maggior parte di giovani appartenenti ai ceti popolari, oltre ad un nutrito gruppo di operai e antifascisti adulti. La mortalità dei toscani deportati con il trasporto dell’8 marzo fu molto alta: di essi – destinati a Mauthausen ed ai suoi sottocampi – non sopravvisse più del 20%.

 

Reticolato attorno al Lager di Ebensee. L’immagine è tratta dal sito del Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza di Prato

La data ebbe un valore simbolico nella storia di Firenze sotto l’occupazione: la notizia degli arresti si propagò rapidamente nei vari ambienti cittadini e nei sobborghi, causando diffuse reazioni di panico. L’operazione contribuì fortemente ad acuire l’istintiva diffidenza verso le iniziative degli occupanti e della RSI; lo spettro degli arresti e dell’invio nel Reich alimentò le diserzioni e la renitenza alla leva, rafforzando indirettamente l’adesione alle reti antifasciste.

 

 

Letture di approfondimento:

  • La speranza tradita. Antologia della deportazione politica toscana 1943-1945, a cura di I. Verri Melo, Pisa, Pacini, 1992.
  • C. Brunelli, G. Nocentini, La deportazione politica dall’area di Firenze, Prato ed Empoli, in Il libro dei deportati, a cura di B. Mantelli, vol. II, Deportati, deportatori, tempi, luoghi, Milano, Mursia, 2010, pp. 620-658.

 

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato l’8 marzo 2012):


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