29 giugno 1539: l’ingresso solenne a Firenze di Eleonora di Toledo

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di Ilaria Ciseri (Firenze)

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Agnolo Allori detto il Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo, 1543. Praga, Národní Galerie

Era una domenica, quel 29 giugno del 1539 che vide Firenze accogliere in gran festa l’arrivo di Eleonora di Toledo, giovanissima sposa di Cosimo I de’Medici, nonché figlia di don Pedro di Toledo, viceré di Napoli e uomo tra i più ricchi e potenti nell’Europa di Carlo V d’Asburgo. Promosse personalmente dall’Imperatore, queste nozze – celebrate per procura a Napoli pochi mesi prima – avrebbero assicurato una preziosa alleanza politica. Eleonora, accompagnata dal fratello don Garzia e da una corte personale al seguito, era partita via mare da Napoli l’11 giugno, giorno fausto per i Medici, non solo per la ricorrenza di un’antica vittoria fiorentina, la battaglia di Campaldino, ma anche perché coincideva con quello di nascita dello stesso Cosimo. Le sette galere sbarcarono a Livorno il 22 giugno: nei pressi di Pisa ebbe luogo il primo incontro degli sposi, che proseguirono verso Firenze, facendo tappa in varie località e sostando poi alcuni giorni nella villa di Poggio a Caiano.

 

 

Giovanni Stradano, L'arrivo di Eleonora di Toledo a Poggio a Caiano, 1559 circa. Firenze, Palazzo Vecchio

L’entrata in città di Cosimo e Eleonora è oggi ricostruibile in ogni dettaglio grazie alle testimonianze di Giorgio Vasari (nelle Vite di Bastiano da Sangallo e del Tribolo) e alla minuziosa relazione di Pier Francesco Giambullari, edita nello stesso 1539. Fissata al pomeriggio, per evitare il caldo già pressante a fine giugno, la cerimonia dell’ingresso in Firenze ebbe luogo a Porta al Prato, vale a dire la porta cittadina che dava accesso entro le mura a chi arrivava – come ancora oggi – dalla direzione di Peretola, ove gli sposi avevano “desinato”. Le strutture colossali della porta e del suo antiporto erano state trasformate in un maestoso arco di trionfo, secondo un antico rituale dell’antichità classica che la cultura rinascimentale aveva riportato in auge dalla fine del Quattrocento. Costruito in materiali di poco pregio, data la sua funzione provvisoria, l’apparato vantava comunque artefici di alto livello, come Niccolò Pericoli, detto il Tribolo, Battista Franco, Ridolfo e Michele del Ghirlandaio, che ne rivestirono l’impianto architettonico con sculture e pitture. L’immagine che sovrastava l’arco trionfale era un omaggio allegorico ad Eleonora e al suo ruolo di sposa: la Fecondità, rappresentata da una “gran figura di donna, tutta isolata, soccinta in habito antico, con cinque bei figlioletti nudi d’intorno, uno alla spalla, uno al grembo, et tre altri intorno alle gambe” (Giambullari). A conferma dello spessore politico di queste nozze, l’ornamentazione dell’arco, dai fregi, alle pareti esterne ed interne, era interamente dedicata alla celebrazione di Giovanni dalle Bande Nere, padre di Cosimo, con dipinti che illustravano le sue vittorie militari, e di Carlo V d’Asburgo, con le personificazioni dei continenti inneggianti alla vastità del suo impero.

 

 

Pierfrancesco Giambullari, Frontespizio dell'Apparato et feste nelle noze dello illustrissimo Signor Duca di Firenze et della Duchessa sua Consorte... (Firenze, B. Giunti, 1539)

Cosimo “allo entrare della porta, lasciando la sposa, per cammino più corto se n’andò a Palazo” (Giambullari), poiché il rituale di ingresso, scandito da un protocollo al contempo civico e sacrale, ebbe come unica protagonista Eleonora. A cavallo di una chinea, ella indossava un raffinato abito “di rasi chermisi riccamente per tutto ricamati d’oro”, evocato forse nel ritratto fattole dal Bronzino pochi anni più tardi, oggi alla Národní Galerie di Praga. Subito fecero ala alla duchessa ventisei tra i principali nobili fiorentini che, insieme a paggi, musici e autorità cittadine, procedendo tra la folla acclamante la condussero in corteo da Porta al Prato fino al Duomo. Qui in una cattedrale parata a festa, l’arcivescovo e il clero attendevano la sposa per la benedizione solenne all’altar maggiore. Il percorso di Eleonora e del suo seguito proseguì poi, lungo via dei Servi, fino a piazza San Marco, al centro della quale un gigantesco apparato inneggiava nuovamente al padre di Cosimo. Su un basamento fregiato da due storie dipinte a finto bronzo dal Bronzino, si ergeva infatti un monumento equestre – probabilmente in cartapesta – realizzato dal Tribolo, un cavallo “con le gambe dinanzi in alto, e sopra quello una figura armata e grande a proporzione; la quale figura avea sotto genti ferite e morte: rappresentava il valorosissimo signor Giovanni de’Medici padre di Sua Eccellenza” (Vasari).

 

La storia di quel giorno volse al termine con l’arrivo di Eleonora alla nuova dimora di via Larga: qui l’attendeva Cosimo, in un palazzo sovraccarico di addobbi e decorazioni, pronto per accogliere non solo la nuova duchessa, ma anche i festeggiamenti fissati per i giorni successivi. Il banchetto nuziale si tenne infatti la mattina del 6 luglio, nel secondo cortile, ove una fantasiosa sfilata di divinità, personaggi mitologici e allegorie delle città del Ducato, rese omaggio agli sposi con canti e danze. Chiuso in alto da un velario e tappezzato su tre lati da stemmi e pitture celebrative dei Medici e della Casa imperiale, il cortile era stato trasformato in una vera e propria sala: una sistemazione decorativa di fatto destinata alla serata del mercoledì successivo, il 9 luglio, quando furono aggiunte gradinate in legno per il pubblico femminile, panche per gli spettatori uomini e la tribuna ducale sul lato corto, dirimpetto al palcoscenico situato a settentrione. Tale assetto avrebbe accolto la messinscena della commedia Il Commodo di Antonio Landi, con gli intermezzi di Giovan Battista Strozzi musicati da Francesco Corteccia e la scenografia dell’architetto Bastiano da Sangallo, detto l’Aristotile, responsabile con la sua straordinaria inventiva, dell’intero allestimento. L’evento segnò una svolta nella storia dello spettacolo fiorentino, poiché con questo prototipo sangalliano della “sala d’apparato” teatrale, venne a definirsi una formula architettonica e scenografica che, perfezionata da Vasari nei vari allestimenti del Salone dei Cinquecento, avrebbe condotto nel 1586 al Teatro degli Uffizi di Bernardo Buontalenti.

 

Lettura di approfondimento:

  • Il luogo teatrale a Firenze. Brunelleschi, Vasari, Buontalenti, Parigi, catalogo della mostra a cura di Ludovico Zorzi, Mario Fabbri, Annamaria Petrioli Tofani, Milano, Electa 1975.

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 29 giugno 2012):


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