G. Vasari, Ritorno dall’esilio di Cosimo, 1556-1558. Firenze, Palazzo Vecchio, sala di Cosimo il Vecchio (l’immagine è tratta dalla Mediateca di Palazzo Medici Riccardi)
di Lorenzo Tanzini (Università di Cagliari)
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Dopo alcuni mesi di esilio, rovesciando quella che sembrava una sconfitta politica, Cosimo de’ Medici il 5 ottobre fa ritorno a Firenze: nei giorni precedenti i responsabili del suo confino erano stati a loro volta allontanati dalla città, e il grande banchiere poteva rientrare tra scene di giubilo, pronto a compiere i passi decisivi per diventare padrone della Repubblica.
I fatti dell’ottobre 1434 si possono considerare come il momento d’inizio del dominio di Cosimo il Vecchio su Firenze e il suo Stato, e il punto di svolta tra il periodo della Repubblica fiorentina a quello dell’egemonia dei Medici. Un dominio continuato per un sessantennio, fino alla cacciata di Piero di Lorenzo nel 1494, e ripreso con alterne vicende nel primo ’500, per poi tradursi in vero e proprio principato con Cosimo I, duca e poi granduca.
Se però nei termini delle grandi stagioni storiche della politica fiorentina questo punto d’avvio ha la sua ben fondata ragion d’essere, guardando nel dettaglio a ciò che accadde nell’ottobre 1434 l’immagine è molto più sfumata: la vittoria politica di Cosimo si inseriva ancora nelle forme e nelle modalità tipiche della storia repubblicana di Firenze, e i segni di una svolta irreversibile nel regime politico della città giunsero in realtà molto lentamente.
Innanzitutto, è necessario comprendere la successione degli eventi che si svolsero in quel turbolento periodo tra il 1433 e il 1434. La politica fiorentina, retta da un complicato sistema istituzionale che aveva al suo centro un’ampia oligarchia repubblicana di grandi famiglie, soffriva da tempo della conflittualità, dell’irresolutezza e degli errori politici della sua dirigenza, il cui principale rappresentante era Rinaldo di Maso degli Albizzi. Alcune vicende recenti avevano minato in maniera pesante la credibilità e l’autorevolezza del regime: il fallimento dell’avventato tentativo di conquistare Lucca, e l’immane impresa amministrativa del nuovo Catasto del 1427, che se da una parte forniva alle finanze cittadine una base di grande efficacia, dall’altra aveva scatenato l’opposizione violenta di alcune città soggette. La compattezza del regime, alimentata da decenni di retorica pubblica intorno alla libertas, all’unione dei cittadini e alla difesa della patria, era ormai attraversata da vistose fratture.
Di queste difficoltà aveva tratto vantaggio soprattutto Cosimo di Giovanni de’ Medici. Figlio ed erede di un ricchissimo banchiere, egli stesso a capo di una ramificata holding che estendeva i propri interessi finanziari in tutta Europa, Cosimo aveva mantenuto un profilo relativamente basso quanto a presenza nelle magistrature fiorentine, ma allo stesso tempo aveva costituito un solidissimo network di legami a vari livelli con la società fiorentina e con gli interlocutori esterni. La fama dei Medici come famiglia tradizionalmente legata agli ambienti popolari ne faceva una figura stimata dagli oppositori della ristretta oligarchia albizzesca, mentre l’enorme ascendente di Cosimo presso alcune figure chiave della politica italiana, dai condottieri agli ambienti curiali, gli consentiva di agire con un efficace appoggio esterno. Sempre più incapaci di governare altrettanto abilmente i rapporti di patronato, gli esponenti della cerchia degli Albizzi si risolsero ad usare un sistema collaudato nella politica fiorentina del tempo. Riunirono una balìa, cioè una ristretta commissione plenipotenziaria, che deliberò una serie di aggiustamenti ai meccanismi di accesso agli uffici (l’imborsazione), e insieme comminò alcune condanne politiche contro figure ritenute pericolose per la città. Tra di esse il primo fu Cosimo stesso, condannato al confino a Padova per cinque anni.
Ciò che accadde nei mesi seguenti, dall’apparente sconfitta dei Medici alla loro totale vittoria sugli avversari, è per molti versi un condensato delle peculiarità politiche – ma anche di cultura politica – della Firenze del Quattrocento. Non per nulla Niccolò Machiavelli vi dedicò alcune delle pagine più emozionanti delle Istorie fiorentine, che gli diedero occasione per riflettere su alcuni punti chiave della sua lettura della storia della città ma anche delle istituzioni politiche in generale. Tra l’altro, il Segretario fu forse il primo a condurre una approfondita riflessione sul passaggio dalla Repubblica al dominio dei Medici, dal momento che si trattava di fatti ormai lontani (le Istorie sono del 1521): a lungo i grandi storici ‘ufficiali’ quattrocenteschi come Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini erano stati molto reticenti al riguardo, e in effetti la narrazione ravvicinata è testimoniata perlopiù da memorie private, come quelle di Pagolo di Matteo Petriboni, o nell’originalissima e polemica ricostruzione di un singolare storico del tempo, Giovanni Cavalcanti.
Abbandonata la città, Cosimo continuò a tessere la sua politica delle relazioni a vasto raggio, coagulando intorno a sé il consenso della Repubblica di Venezia, del cui patriziato faceva parte anche la famiglia del papa. Nel frattempo a Firenze si consumava quello che potremmo considerare un corto circuito tra obiettivi del regime e i mezzi messi a disposizione dalla tradizione istituzionale cittadina. Il regime in carica, infatti, pur avendo epurato la città dei suoi potenziali nemici e selezionato accuratamente il personale politico, non aveva potuto fare a meno di “riempire le borse”, cioè di redigere i nuovi elenchi dei cittadini abili ad assumere gli uffici. Si trattava di elenchi che contavano varie centinaia di nomi, dato che il numero di magistrature e la rapidissima rotazione richiedeva un personale assai largo: ma soprattutto, da quegli elenchi i nomi di coloro che avrebbero effettivamente rivestito l’una o l’altra carica (soprattutto i Tre maggiori, cioè i collegi di governo) sarebbero stati estratti col sistema del sorteggio, che comportava un alto grado di aleatorietà. Di conseguenza, per quanto accurato fosse il filtro ‘in partenza’ alla partecipazione, nessun regime era davvero capace di evitare la circostanza sfavorevole di uffici momentaneamente inclini alla parte avversa, o in qualche modo compromessi con la fittissima rete di aderenze di cui godeva il nemico Cosimo.
Nell’autunno del 1434 accadde proprio questo. Nell’imminenza dell’entrata in carica di un priorato in cui gli uomini vicini a Cosimo erano in prevalenza, gli oligarchi furono tentati dal colpo di mano, che forzasse le istituzioni e mettesse definitivamente fuori gioco l’odiato rivale. Giocò però a quel punto un ruolo cruciale una circostanza particolarissima, cioè la presenza a Firenze del Papa, Eugenio IV, con la sua corte. Il pontefice, in fuga dalle turbolenze politiche di Roma, era giunto a Firenze qualche mese prima, ed era stato ospitato con tutti gli onori dal regime in carica, ben lieto di illustrare la città con il prestigio della Chiesa romana in trasferta. Stando al racconto di Giovanni Cavalcanti, Rinaldo si convinse che il papa avrebbe avallato l’opzione di forza, ma si lasciò invece persuadere ad una politica di attesa. A lungo si è ritenuto che Eugenio, molto vicino ai legami di amicizia di Cosimo, avesse ordito un vero e proprio raggiro a favore dei Medici. Probabilmente si trattò invece di una scelta in buona fede, volta ad evitare rotture troppo violente. Ad ogni modo, senza l’appoggio papale la compagine albizzesca restò disorientata, e i suoi più autorevoli rappresentanti, tra cui il ricchissimo banchiere-umanista Palla Strozzi, smobilitarono rinunciando all’azione. Il priorato, come era prevedibile, revocò la condanna di Cosimo, che aveva impiegato i mesi di confino tra Ferrara, Padova e Venezia per consolidare sue aderenze con i condottieri, con la Serenissima e con le famiglie vicine alla Curia pontificia. Il 28 settembre un parlamento in piazza costituì una nuova Balìa, che richiamò in patria Cosimo, mentre pochi giorni dopo, il 2 ottobre, Rinaldo degli Albizzi era condannato a sua volta al confino insieme a Ridolfo Peruzzi, uno dei suoi più attivi alleati.
La sera del 5 ottobre Cosimo poteva far quindi ritorno in città nelle migliori condizioni possibili, tanto che secondo il racconto di Pagolo di Matteo Petriboni si sarebbe permesso di trascorrere la notte a palazzo, accolto dai priori in carica. Ricevuto il giorno seguente dal papa, Cosimo ebbe quindi una vera e propria benedizione politica, e non per nulla di lì a poco assunse per i primi due mesi del 1435 l’ufficio di Gonfaloniere di Giustizia, la più alta dignità politica concessa ad un cittadino.
Il cambio di passo della politica fiorentina fu evidente dal modo in cui Cosimo dispose i suoi primi atti una volta in città. L’epurazione disposta dalla nuova balìa ai danni del regime albizzesco fu incomparabilmente più severa di quella del 1433: le liste di eleggibili approntate un anno prima vennero bruciate e rifatte completamente, mentre intere famiglie si trovarono totalmente tagliate fuori dalla partecipazione politica.
Ad ogni modo, i meccanismi della distribuzione degli uffici restarono in vita, e Cosimo si trovò a gestire una situazione simile a quella dei suoi avversari, cioè di un governo signorile entro strutture repubblicane. La genialità politica di Cosimo consisté nell’escogitare un sistema di controlli preventivi delle estrazioni elettorali, attraverso la figura solo apparentemente tecnica degli accoppiatori, che gli consentirono di vigilare in maniera preliminare sull’accesso agli uffici. Il meccanismo andò perfezionandosi molto lentamente, e non mancarono in varie occasioni momenti di crisi in cui le redini del governo giunsero quasi a sfuggire di mano dal network mediceo, ma in definitiva il sistema funzionò. Cosimo poté così raccogliere da una parte i vantaggi evidenti di un sistema di potere centralizzato, dall’altro le ricadute d’immagine del rispetto formale delle tradizioni repubblicane. La fama di “padre della patria”, che avrebbe ammantato Cosimo dopo la sua morte nel 1464, fu costruita proprio in questo sapiente dosaggio tra autoritarismo e ossequioso rispetto dell’identità repubblicana del regime, troppo forte per essere mortificata o umiliata da atteggiamenti ‘principeschi’. Nella memoria storica e nella cultura fiorentina del Rinascimento, Cosimo rimarrà così l’emblema dell’“ottimo cittadino”, fedele ai valori della Repubblica, prima ancora che il felice fondatore di una dinastia.
Bibliografia di riferimento
- N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Firenze, La Nuova Italia, 1997 (ed. orig. Oxford 1966)
- R. Fubini, Italia quattrocentesca: politica e diplomazia nell’età di Lorenzo il Magnifico, Milano, Franco Angeli, 1994
- D. Kent, Cosimo de’ Medici and the Florentine Renaissance: the patron’s oeuvre, New Haven-London, Yale University press, 2010
- L. Boschetto, Società e cultura a Firenze al tempo del Concilio. Eugenio IV tra curiali mercanti e umanisti (1434-1443), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012
Elenco dei link in ordine di citazione
- Profilo di Cosimo de’ Medici
- Breve profilo di Rinaldo degli Albizzi
- Profilo di papa Eugenio IV
- Breve profilo di Poggio Bracciolini
- Catasto del 1427
Come citare questo articolo: Lorenzo Tanzini, Ottobre 1434: Cosimo de’ Medici prende il potere, in "Portale Storia di Firenze", Ottobre 2014, https://www.storiadifirenze.org/?temadelmese=ottobre-1434-cosimo-de-medici-prende-il-potere
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