27 maggio 1993: l’attentato di via dei Georgofili

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di Francesca Cavarocchi (Istituto Storico della Resistenza in Toscana)

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

 

Nella notte fra il 26 e il 27 maggio, all’una e quattro minuti, il centro della città è scosso da una fortissima detonazione. Nell’esplosione, che ha come epicentro l’incrocio fra via dei Georgofili e via Lambertesca, perdono la vita cinque persone: la custode dell’Accademia dei Georgofili Angela Fiume (36 anni), le figliolette Caterina e Nadia Nencioni (rispettivamente 50 giorni di vita e 9 anni), il marito Fabrizio Nencioni (39 anni) e lo studente di architettura Dario Capolicchio (22 anni). I feriti e ustionati, alcuni dei quali molto gravi, sono 48, circa 70 le famiglie evacuate.

La torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, è in buona parte distrutta, con significative perdite dello storico patrimonio ivi conservato. Vengono bruciate o gravemente lesionate varie abitazioni; la galleria degli Uffizi subisce pesanti danneggiamenti: tre dipinti sono irrecuperabili, altri trenta saranno sottoposti a consistenti restauri. La ricostruzione e il recupero degli stabili colpiti e dei beni dell’Accademia saranno intrapresi a cura del Provveditorato alle opere pubbliche e della Sovrintendenza di Firenze e si concluderanno nel 1996. Il presidente dell’Accademia Franco Scaramuzzi è fra le personalità incaricate di supervisionare i lavori e impegnate in sede pubblica e istituzionale a tenere alta l’attenzione sulle conseguenze dell’attentato.

Se nelle prime ore si ipotizza una fuga di gas, la scoperta di un cratere profondo due metri non lascia adito a dubbi: il successivo rinvenimento di una Fiat Fiorino nei pressi della torre dei Pulci permette di accertare che la strage è stata causata da un’autobomba. Migliaia di cittadini accorrono sul luogo dell’esplosione. I sindacati confederali indicono per venerdì 28 quattro ore di sciopero nazionale: nel capoluogo si tiene un’imponente manifestazione conclusasi a Santa Croce, mentre si svolgono cortei e commemorazioni nei maggiori centri della penisola. L’opinione pubblica è tanto più scossa e disorientata dato che il movente dell’attentato risulta ancora oscuro. A un anno dagli omicidi Falcone e Borsellino la pista più accreditata è quella mafiosa, ma risulta difficile comprendere perché sia stato colpito il cuore di Firenze; esponenti autorevoli della magistratura e del mondo politico fanno riferimento a “forze oscure”, in una fase di passaggio e di fragilità del sistema politico nazionale. Riemergono dunque vecchi spettri e forti preoccupazioni relative alla riapertura di una strategia di destabilizzazione.

La notizia della strage è ripresa in tempo reale dalle principali testate internazionali, che prestano particolare attenzione ai danneggiamenti inflitti al patrimonio artistico degli Uffizi, alle ipotesi ancora confuse sui possibili mandanti, al quadro di instabilità politica e istituzionale attraversato dalla penisola. Nel ’93 è infatti entrata nella sua fase culminante la stagione di inchieste giudiziarie battezzata come “mani pulite”; a tale fenomeno si accompagna una profonda crisi di legittimazione delle tradizionali forze di governo, che alimenta la previsione di un imminente e massiccio spostamento del consenso intorno a nuove formazioni e nuovi leader.

Due mesi dopo, il 27 luglio, altri attentati vengono compiuti a Roma, presso le chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro. Il 29 luglio in via Palestro a Milano, presso il Padiglione di arte contemporanea, l’esplosione di un’autobomba provoca cinque morti. Questi eventi e una catena di episodi minori sono letti dagli inquirenti e dalla stessa opinione pubblica come tasselli di una medesima strategia.

Incaricati delle indagini sono Pier Luigi Vigna, allora procuratore distrettuale antimafia, e Gabriele Chelazzi. Nel giugno 1996 si apre a Firenze il processo di primo grado, conclusosi nel giugno 1998 con la condanna all’ergastolo di 14 esponenti dei clan mafiosi, riconosciuti come mandanti ed esecutori della strage: fra essi Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano, Matteo Messina Denaro. Le risultanze processuali permettono di accertare che nel 1992 era stato concepito il progetto di eseguire una serie di azioni dimostrative, in particolare contro siti simbolo del patrimonio artistico italiano, per offrire alle istituzioni una prova di forza e reagire all’inasprimento delle attività antimafia seguito agli omicidi Falcone e Borsellino. I due magistrati erano stati i principali esponenti del pool antimafia di Palermo, guidato dal fiorentino Antonino Caponnetto; il pool aveva istruito il maxiprocesso (1986-87), prima operazione giudiziaria a interessare centinaia di imputati, con l’obiettivo di offrire finalmente una ricostruzione organica delle reti mafiose.

Fra ’92 e ’93 bersagli della strategia di Cosa nostra erano in particolare la modifica dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, che prevedeva il carcere duro e l’isolamento, nonché le norme volte ad incentivare il fenomeno del pentitismo. Negli anni seguenti, grazie anche alle confessioni dei collaboratori di giustizia, sono state battute varie piste investigative, che hanno permesso di ricostruire ulteriori tasselli. Nel 2010 è iniziato il processo contro il capo della cosca di Brancaccio Francesco Tagliavia, condannato nel 2011 per la sua partecipazione alla strage. Se sono stati accertati gli autori materiali e i mandanti degli attentati del ‘93, risultano ancora aperte le indagini sulla contemporanea “trattativa Stato-mafia”, ovvero sui contatti fra i clan mafiosi ed esponenti delle istituzioni, la cui effettiva esistenza è stata corroborata da vari inquirenti, ma i cui precisi tratti sono tuttora oggetto di indagine e al centro del dibattito pubblico.

A ridosso della strage si era costituito un coordinamento fra i cittadini coinvolti, poi trasformatosi nell’associazione tra i familiari delle vittime di via dei Georgofili. In una prima fase risultava prioritario il compito di contribuire alla gestione dell’emergenza e di tutelare gli interessi delle persone colpite; col passare degli anni si sono rafforzati altri obiettivi, quali il tentativo di tener desta la memoria dell’attentato e l’impegno come parte civile nella lunga stagione processuale apertasi negli anni ’90 e non ancora conclusa. L’associazione ha offerto un forte contributo alla celebrazione degli anniversari dell’attentato, tradottisi in occasioni di sensibilizzazione e dibattito sul fenomeno mafioso, nonché su limiti e opacità delle strategie di contrasto elaborate in sede istituzionale.

 

Letture di approfondimento:

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 27 maggio 2013):


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