Lapo da Castiglionchio il Vecchio
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Nato nei primi decenni del secolo XIV da Lapo di Albertuccio e Bilia Ferrantini, Lapo da Castiglionchio apparteneva a una famiglia aristocratica, i Castiglionchio, ramo della stirpe dei signori di Quona in Valdisieve, trasferitasi in tempi recenti dal contado alla città. 
Il suo talento per gli studi letterari (fece parte del ristretto circolo di dotti cui appartennero Boccaccio, Francesco Nelli e Zanobi da Strada ed ebbe modo di conoscere il Petrarca) virò presto verso una brillante carriera di canonista. Recatosi a studiare legge a Bologna venne poi chiamato ad insegnare all’università di Firenze. 
Il meglio della sua attività scientifica è raccolto nei trattati De Hospitalitate (sulla giurisprudenza relativa alla gestione dei luoghi di cura e di assistenza religiosa) e De canonica portione et de quarta (in cui si discute la questione della tassazione sulla proprietà ecclesiastica). Ma fu anche assai richiesto dai privati, come testimoniano i numerosi pareri legali raccolti nelle Allegationes.
Presi gli ordini minori e divenuto pievano della chiesa di Miransù nei possedimenti di famiglia, sposò poi Margherita di Bernardo di Benincasa Folchi. Tra i numerosi figli avuti da lei si ricorda Bernardo nato nel 1363, giovanissimo canonico della cattedrale di Firenze e destinatario nel 1378 di una lunga Epistola relativa alle vicende familiari, e all’idea di nobiltà intesa come appartenenza alla elite cittadina. Strenuo difensore della propria classe sociale e grande oratore, fu spesso impiegato dalla Signoria in missioni diplomatiche e svolse una brillante carriera politica.
Tra le numerose ambasciate (a Viterbo, Siena, Lucca e Genova) si rammenta quella alla corte di Gregorio XI (1377). La guerra degli Otto Santi allora in corso richiedeva una soluzione per le divisioni e le intolleranze che aveva generato a Firenze e il C. simpatizzante del clero e contrario ad una guerra contro il papato parve la persona adatta a negoziare un accomodamento. Ma i cinque lunghi mesi di trattative condotti ad Anagni insieme ad altri eminenti fiorentini si risolsero, nell’ottobre del 1377, in un fallimento. 
Schierato tra i sostenitori della Parte Guelfa, organismo che condizionò pesantemente le strutture del governo comunale alla propria volontà e ai propri interessi – ne fu Capitano numerose volte-, nel 1372 fu membro della Balìa incaricata di arginare le manovre egemoniche di Ricci e Alberti. Responsabile delle fortune e del progresso della Parte, ottenne da essa il titolo di Savio a vita, e ideò l’efficace strumento dell’ammonizione con il quale la Parte poté aumentare indiscriminatamente il suo potere: con esso infatti si privavano dei diritti politici i cittadini che secondo il giudizio degli stessi rappresentanti non davano sufficiente garanzia di fede guelfa. Questa politica oltranzista contro tutte le forme di opposizione o di dissenso verso l’oligarchia fece crescere l’insoddisfazione degli strati più moderati del popolo grasso, che culminò in una sommossa popolare contro gli oligarchi: i rivoltosi in armi diedero fuoco alle abitazioni dei più celebri esponenti della Parte bruciando, per prima la casa del Castiglionchio sulla piazza del Ponte Rubaconte, mentre il suo celebre inquilino fuggiva, travestito da frate, alla volta del Casentino. Poco dopo egli fu dichiarato ribelle, i suoi parenti fatti magnati, i suoi beni confiscati e messi all’asta. Fu data piena libertà di ucciderlo a chiunque lo avesse colto fuori da Barcellona, dove fu stabilita la sede del suo esilio. Nel 1379 un nuovo bando gli impediva di avvicinarsi a meno di 200 miglia da Firenze. 
Stabilitosi a Padova, ottenne una cattedra nello Studio mentre da Firenze le proteste giungevano al punto di inviare Coluccio Salutati per intercedere presso Francesco da Carrara affinché lo espellesse dal suo territorio. Certo dell’impunità egli proseguì nella sua attività e, in contatto col movimento degli esuli tacitamente appoggiato da Carlo di Durazzo, tentò di riguadagnare terreno. L’ insuccesso della congiura oligarchica in cui perse la vita Piero degli Albizzi rinnovò il suo fallimento personale e gli valse, nel 1380, una nuova condanna negli averi e nella persona
Allontanato ormai definitivamente da Firenze, mise la sua esperienza giuridica al servizio della battaglia diplomatica sorta intorno alla questione del trono di Napoli e quando nel giugno 1381 il papa Urbano VI incoronò Carlo re di Napoli, Sicilia e Gerusalemme il C. rimase presso il pontefice come personale rappresentante del sovrano. Morì infine nel giugno del 1381 e fu sepolto a Firenze nella chiesa di santa Croce. A un mese dalla sua morte fu celebrato un solenne ufficio in sua memoria, e nel corso dell’anno successivo vennero annullati i bandi e le condanne che erano stati emessi contro di lui.

Opere
L. Mehus, Epistola o sia ragionamento di Lapo da Castiglionchio, Bologna, Corciolani e Colli, 1749;
Epistola al figlio Bernardo e due lettere di Bernardo al padre, a cura di S. Panerai, in F. Sznura (a cura di), Antica possessione con belli costumi Due giornate di studio su Lapo da Castiglionchio il Vecchio (Firenze-Pontassieve, 3-4 ottobre 2003), ASKA, 2005, pp. 323-449;
F. Novati, Il libro memoriale de’ figlioli di M. Lapo da Castiglionchio (1382), Bergamo, 1893 (per nozze D’Ancona- Cassin);
R. Davidsohn, Tre Orazioni di Lapo da Castiglionchio ambasciatore fiorentino a papa Urbano V e alla Curia in Avignone, «Archivio Storico Italiano», XX (1897), s. V pp. 225-246.

Studi su Lapo da Castiglionchio il Vecchio
M. Palma, voce Castiglionchio, Lapo da in Dizionario biografico degli italiani, XX, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1979, pp. 40-44;
A. Valori, Tra orgoglio aristocratico e identità comunale: Lapo da Castiglionchio sulla “vera nobiltà” «Archivio Storico Italiano», CLIV (1996), pp. 437-478;
F. Sznura (a cura di), Antica possessione con belli costumi. Due giornate di studio su Lapo da Castiglionchio il Vecchio (Firenze-Pontassieve, 3-4 ottobre 2003), ASKA, 2005.