Settembre 1504: viene inaugurata la statua del David di Michelangelo

Immagine di copertina:

Particolare del David di Michelangelo



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di Lorenzo Tanzini (Università di Cagliari)

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

Donatello, David, 1408-1409. Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Investito da milioni di flash e coinvolto suo malgrado in innumerevoli selfie ogni anno, il David veglia da secoli l’ingresso di Palazzo Vecchio, anche se dal 1873 lo fa attraverso una dignitosa controfigura, collocata al suo posto quando l’originale venne accolto nell’apposita sala dell’Accademia.

Anche l’8 settembre 1504, quando la statua venne scoperta, l’evento attirò l’attenzione e l’entusiasmo dei contemporanei, tra cui almeno due memorialisti, Luca Landucci e Agostino Lapini. Di memorabile non c’era solo la scenografica inaugurazione: anche le vicende precedenti dell’opera erano state a dir poco avventurose. Il 14 maggio il ‘Gigante’ aveva cominciato a muoversi dal laboratorio di Michelangelo presso l’Opera del Duomo, montato su un castello semovente in legno realizzato con la consulenza di Antonio da Sangallo il Vecchio, esperto di ingegneria militare e quindi abituato ai trasporti eccezionali. Considerando il suo peso e dimensioni l’opera correva gravi rischi nel trasporto, quindi la statua stava imbracata senza poggiare i piedi sul piano del carrello, che veniva fatto scorrere lungo le vie. Il viaggio dall’Opera a Palazzo Vecchio richiese quattro lunghissimi giorni e una squadra di quaranta operai; una volta piazzato, occorse tutta l’estate per gli ultimi ritocchi, fino alla tanto attesa inaugurazione.

Giungeva così a compimento un’impresa che era sempre stata sul filo dell’impossibile. Tutto ebbe inizio da un blocco di marmo che giaceva nei depositi dell’Opera: intorno al 1463 Agostino di Duccio aveva cominciato a trarne la statua di un profeta da porre su uno degli sproni del Duomo fiorentino, ma il materiale si era rivelato problematico ed era stato abbandonato, lasciando così una enorme sagoma umana informe, detta appunto ‘il Gigante’. Il 16 agosto 1501 Michelangelo aveva firmato l’incarico per riprendere in mano il blocco e farne un’opera all’altezza delle sue possibilità. Chiuso nel suo laboratorio, il giovane artista si cimentò per mesi con quella massa marmorea, e solo dopo due anni riuscì ad averne ragione: come ricorda Vasari «fu miracolo quello di Michelagnolo, far risuscitare uno che era morto».

Donatello, Giuditta e Oloferne, metà sec. XV. Firenze, Palazzo Vecchio, Sala dei Gigli

Donatello, Giuditta e Oloferne, metà sec. XV. Firenze, Palazzo Vecchio, Sala dei Gigli

Nel gennaio 1504 l’Opera cominciò a porsi il problema di dove collocare il Gigante, e a tal fine riunì un’apposita commissione di ventotto artisti. Assistere a quella riunione sarebbe stato al di là dei sogni di ogni storico dell’arte: vi si ritrovarono Andrea della Robbia, Cosimo Rosselli, Giuliano e Antonio da Sangallo, il Perugino, Leonardo da Vinci e Sandro Botticelli, mentre Andrea da Monte, il Sansovino, non poté intervenire perché a Genova. Alcuni, come i Sangallo e Leonardo, ritenevano che la sede migliore fosse sotto la Loggia dei Priori (ora dei Lanzi), dove la statua sarebbe stata ben visibile come ‘cosa pubblica’ e allo stesso tempo si sarebbe preservata dalle intemperie. Alla fine però prevalse il parere di Francesco Filarete, l’araldo della Signoria: questi aveva individuato due spazi possibili, il cortile di Palazzo Vecchio o la ringhiera, cioè la pedana lungo la facciata del palazzo, in particolare «dove è la Iuditta», il bronzo di Giuditta e Oloferne di Donatello. Filarete consigliava proprio di sostituire il David al gruppo della Giuditta, che riteneva un soggetto poco fortunato: innanzitutto perché «non sta bene che la donna uccida l’homo», e poi per un motivo di scaramanzia. C’era infatti chi riteneva che quell’immagine così truce esposta davanti al palazzo dal 1495 fosse nata sotto un influsso astrale nefasto, e avesse addirittura influito sull’esito disgraziato dei rapporti con Pisa, ribellatasi a Firenze nel 1494 e non ancora tornata sotto il suo dominio. Che fosse per ragioni astrologiche o per l’autorevolezza dell’araldo, che probabilmente portava con sé sollecitazioni e umori delle stanze del potere, suo fu il parere vincente. E così si cominciarono a predisporre quelle complicate operazioni logistiche che avrebbero portato il David fino a Palazzo Vecchio.

A prescindere da come era maturata, la collocazione del Gigante aveva segnato un passo decisivo nell’immagine dei luoghi della politica fiorentina. Ne era convinto anche Vasari, che con una evidente forzatura attribuisce proprio al Gonfaloniere Pier Soderini la committenza dell’opera. Tra l’altro Vasari racconta anche un celebre aneddoto, per cui il Gonfaloniere, nel seguire i lavori per il trasferimento della statua, avrebbe suggerito a Michelangelo di ritoccare il naso al David, che a suo parere era venuto un po’ grosso; l’artista sarebbe quindi salito sul catafalco, e facendo cadere una manciata di polvere raccolta di nascosto, avrebbe fatto finta di limare il naso incriminato: da che l’immediato plauso di soddisfazione del Soderini, a cui ora l’opera pareva perfetta. Al di là del tono beffardo del racconto, vi era forse ancora la memoria di un’attenzione speciale del Gonfaloniere per il buon esito dell’operazione David. Anzi, forse anche un episodio più inquietante riportato dal Landucci, una sassaiola da cui la statua fu investita la notte della ‘partenza’ verso il palazzo, potrebbe suggerire l’esistenza di polemiche e ostilità per un’impresa percepita come fortemente politica.

Andrea del Verrocchio, David, 1472-1475 circa. Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Andrea del Verrocchio, David, 1472-1475 circa. Firenze, Museo Nazionale del Bargello

L’arrivo del Gigante si inseriva in una lunga storia di arte civica proprio nello spazio della politica per eccellenza, Palazzo Vecchio. Momento di svolta era stato probabilmente il giorno di Sant’Anna del 1343, cioè la fine della signoria del Duca d’Atene: non per nulla un celebre affresco realizzato poco dopo raffigurava la scena della cacciata proprio sullo sfondo di Palazzo Vecchio. L’intento di esaltare i valori della libertà comunale, di cui i regimi fiorentini si sentivano sempre più orgogliosamente interpreti in un’Italia piena di tiranni, era un potente stimolo ad elaborare un programma artistico ideologicamente adeguato, che andasse oltre le tradizionali immagini a carattere religioso e devozionale. Già nel 1349 nella facciata Nord del Palazzo venne collocato un Marzocco in pietra, che nelle cerimonie pubbliche veniva solennemente incoronato: come a dire che solo a lui era lecito portare una corona in una città libera. Le imprese più ambiziose furono però avviate dentro il Palazzo. Negli anni ’80 del secolo, su ispirazione del cancelliere Coluccio Salutati, la ‘saletta dei Priori’ venne ornata da un affresco con ventidue uomini illustri, di cui non è rimasto nulla se non gli epigrammi che Salutati compose ad accompagnamento delle immagini. Il soggetto non era del tutto originale: esempi simili già esistevano o sarebbero stati realizzati a Padova, Siena, Foligno. Ma a Firenze c’era una variante decisiva, perché la maggior parte dei grandi uomini erano fiorentini: antichi o moderni uomini d’arme o grandi glorie letterarie, Dante, Petrarca e Boccaccio in testa. A proposito di letterati, sappiamo che nel 1417 Roberto de’ Rossi, intellettuale di spicco della sua generazione, compose un’epigrafe per l’immagine di Ercole (uno dei simboli del Comune fin dal ’200) che si trovava nella sala dei Duecento. L’anno prima la Signoria si era fatta consegnare dall’Opera del Duomo il David marmoreo di Donatello (realizzato nel 1408-1409), per esporlo nella sala dei Gigli, con un basamento la cui iscrizione recitava «pro patria fortiter dimicantibus etiam adversus terribilissimos hostes Deus praestat auxilium» (Dio aiuta coloro che combattono con forza per la patria anche contro i nemici più terribili). Era la prima volta che si ricorreva alla scultura monumentale per questo tipo di collocazione: tanto bastava perché David diventasse un simbolo della città, che aveva recentemente fronteggiato nemici apparentemente insuperabili come Giangaleazzo Visconti e Ladislao di Napoli.

L’iconografia biblica conobbe un’immediata fortuna. Cosimo de’ Medici commissionò qualche anno più tardi al vecchio Donatello un altro David di bronzo, che fece collocare nel cortile del suo palazzo in via Larga, anche questa volta con l’iscrizione di un umanista amico, Gentile Becchi. Anni dopo Piero di Cosimo commissionò tre tele ad Antonio del Pollaiuolo con un soggetto familiare, le fatiche di Ercole. E ancora fu da Lorenzo e Giuliano che nel 1476 la Signoria acquistò il David del Verrocchio, per collocarlo alla porta della sala dei gigli. Insomma, tra Palazzo Medici e Palazzo Vecchio si era instaurato un consapevole e insistito parallelismo nei simboli del potere.

Troppo insistito perché qualcosa non dovesse cambiare alla caduta del regime mediceo nel 1494.

Particolare del David di Michelangelo

Particolare del David di Michelangelo

Dopo la cacciata di Piero le autorità repubblicane attuarono una sorta di spoglio simbolico del palazzo Medici. Nel 1495 il David di Donatello venne requisito e spostato a Palazzo Vecchio, e lo stesso accadde alle tre tele del Pollaiuolo: in questo modo i due simboli ormai consilidati di David e di Ercole erano sottratti alla residenza dei ‘tiranni’ spodestati, e concentrati nel cuore repubblicano della città. Nel frattempo prendeva forma entro gli spazi del Palazzo la grande sala del Consiglio Grande, chiave di volta del restaurato regime comunale. Forse in ossequio alla sobrietà piagnona del periodo, per qualche anno nella sala non si collocarono opere d’arte. Ma dopo la morte di Savonarola, e soprattutto con la nomina di Piero di Tommaso Soderini a Gonfaloniere a vita nel 1502, il contesto conobbe una nuova svolta. Il regime di Soderini, socialmente affine alle famiglie della più ristretta élite cittadina ma tutt’altro che appiattito sui loro interessi, volle accentuare i riferimenti alle idealità repubblicane appoggiandosi con decisione ai mezzi di comunicazione simbolica. Era una strategia che intendeva accreditare il nuovo regime come una sorta di punto d’arrivo di tutta la storia fiorentina: non l’ennesimo governo ‘di parte’ sostenuto dall’una o dall’altra componente politica, ma un punto d’equilibrio che riassumeva e salvaguardava l’intero patrimonio storico e ideale della Repubblica.

Nel 1503 fu commissionata a Leonardo la decorazione della sala dei Cinquecento, mentre l’altro lato della sala fu affidato alle cure di Michelangelo nel 1504. In entrambi i casi il soggetto era guerresco: la battaglia di Anghiari, con cui i fiorentini avevano sconfitto gli odiati Visconti nel 1440, e la battaglia di Cascina, con cui nel 1364 il Comune aveva umiliato i nemici di sempre in Toscana, i pisani.

In un contesto del genere non è difficile comprendere l’esito della vicenda del Gigante. L’opera si prestava magnificamente ad interpretare gli intenti di promozione dell’immagine del regime di Soderini: era un soggetto di grande fortuna come il David, associato alle idealità repubblicane, e sfidava tutti gli esempi precedenti per dimensioni e impegno. Oltretutto il David michelangiolesco non è l’efebico fanciullo del bronzo di Donatello, che trionfa per virtù divina sulla testa mozzata di Golia: è piuttosto l’eroe biblico appena prima dello scontro mortale col nemico, insomma una figura che si sta concentrando su un’impresa ancora da compiere. C’era qualcosa in quell’immagine che richiamava il progetto politico a cui Soderini stava mettendo mano, quello del nuovo esercito fiorentino, con cui la città avrebbe finalmente raccolto le forze del suo territorio per tener testa ai potenti nemici senza ricorrere alle armi infide dei condottieri. La mente di quel progetto fu Niccolò Machiavelli, che in mezzo a durissime resistenze oligarchiche nel 1506 riuscì a far approvare la «Provvisione dell’ordinanza», la legge fondamentale per il nuovo esercito repubblicano. Forse guardando il David Machiavelli – e non solo lui – vedeva un vero e proprio emblema della forza concentrata e ben organizzata che il piccolo Stato di Firenze stava per mettere in campo nella burrascosa Italia del suo tempo.

Bibliografia di riferimento

  • A. Victor Coonin, From Marble to Flesh. The Biography of Michelangelo’s David, Prato, The Florentine press, 2014
  • M.M. Donato, D. Parenti (a cura di), Dal Giglio al David: arte civica a Firenze fra Medioevo e Rinascimento, Catalogo della mostra (Firenze 2013/2014), Firenze, Giunti, 2013
  • F. Caglioti, Donatello e i Medici. Storia del David e della Giuditta, 2 voll., Firenze, Olschki, 2000
  • N. Rubinstein, The Palazzo Vecchio, 1298-1532. Government, Architecture and Imagery in the Civic Palace of the Florentine Republic, Oxford, Clarendon Press, 1995
  • G. Guidi, Lotte, pensiero e istituzioni politiche nella Repubblica fiorentina dal 1494 al 1512, 3 voll., Firenze, Olschki, 1992


Elenco dei link (il loro funzionamento è stato verificato il 20 agosto 2015)


Come citare questo articolo: Lorenzo Tanzini, Settembre 1504: viene inaugurata la statua del David di Michelangelo, in "Portale Storia di Firenze", Agosto 2017, https://www.storiadifirenze.org/?temadelmese=settembre-1504-viene-inaugurata-la-statua-del-david-di-michelangelo
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