13 gennaio 1326: Carlo di Calabria accetta la nomina a signore di Firenze

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di Piero Gualtieri

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

 

Tino da Camaino, Mausoleo di Carlo di Calabria, 1333, Napoli, Chiesa di Santa Chiara

Ci vollero circa quindici giorni per raggiungere Napoli. I cinque ambasciatori fiorentini (fra i quali alcuni membri delle famiglie Acciaiuoli e Peruzzi, ben viste a corte) erano partiti alla fine di dicembre del 1325. Il loro compito era quello di presentare a Carlo di Calabria, primogenito di Roberto d’Angiò, re di Sicilia, la nomina a signore di Firenze.

Nell’autunno di quell’anno, la situazione si era venuta facendo sempre più difficile per la città del giglio. Castruccio Castracani, signore di Lucca che ormai da oltre sette anni combatteva per espandere il proprio dominio ai danni soprattutto di Firenze, si era spinto fin sotto le mura della città, devastando a più riprese le campagne e i castelli della piana e facendo correre sotto gli occhi attoniti dei fiorentini un infamante palio di prostitute. Costretto a subire le minacce del fronte ghibellino all’esterno, e incapace di porre freno ai contrasti interni che agitavano le famiglie eminenti, il governo fiorentino aveva allora deciso di affidarsi nuovamente alla signoria della casa d’Angiò, meno di quattro anni dopo la fine del dominio di Roberto.

Il 23 dicembre del 1325, i consigli cittadini approvarono così la mozione proposta dai priori, conferendo a Carlo il dominio sulla città per dieci anni. Secondo il dettato della delibera, Carlo sarebbe entrato in carica a partire dal successivo 1° di aprile, e avrebbe percepito uno stipendio di ben duecentomila fiorini annui in caso di guerra, la metà in caso di pace. Durante il suo mandato, avrebbe dovuto tenere con sé mille cavalieri francesi finché ci fosse stata guerra con Castruccio, meno della metà quando la guerra fosse finita. Egli avrebbe avuto il potere di nominare tutti gli ufficiali comunali, pur avendo l’obbligo di rispettare e mantenere gli statuti e le leggi cittadine: avrebbe avuto, cioè, per la prima volta nella storia della Firenze comunale, il potere di intervenire al massimo livello nel governo della città.

Le fonti non ci hanno lasciato alcun riferimento su come si svolse concretamente l’ambasciata. È più che probabile che essa si sia tenuta alla presenza di re Roberto, dei suoi principali familiari e dei più alti dignitari – laici ed ecclesiastici – del Regno di Napoli, e che si sia svolta in forma solenne, con una presentazione retoricamente articolata. In ogni caso, Carlo accettò la nomina di buon grado (e con la benedizione del padre), facendo in tal modo rallegrare i trepidanti fiorentini.

Nonostante gli accordi, tuttavia, egli si mosse da Napoli solamente il 31 di maggio, facendosi precedere a Firenze due settimane prima dal suo vicario Gualtieri di Brienne, duca d’Atene (destinato, sedici anni dopo, a esercitare a propria volta il dominio sulla città). Al termine di un viaggio punteggiato da numerose soste, che gli valsero fra l’altro la signoria quinquennale su Siena, Carlo entrò a Firenze a mezzogiorno di mercoledì 30 luglio 1326 – come ci ricorda il cronista Giovanni Villani – accompagnato dalla giovane moglie e da un nutrito seguito di baroni e cavalieri, «molto bella gente e nobile, e bene a cavallo, e in arme, e in arnesi».

Dopo averlo accolto con grande giubilo, i fiorentini attesero fiduciosamente che il nuovo signore li guidasse in battaglia contro Castruccio. Si calcola che il contingente di armati a sua disposizione già nell’estate del 1326, tenuto conto anche degli aiuti giunti dalle città alleate, fosse di quasi tremila cavalieri e seicento fanti, ma Carlo non si mosse subito da Firenze. La prima spedizione contro il Castracani fu avviata solo nell’ottobre, e si rivelò un insuccesso. Per i quasi quindici mesi durante i quali rimase in città, mantenendo nelle proprie mani le redini del governo, le operazioni militari si limitarono alla presa di pochi castelli minori. Più che sui campi di battaglia, il signore angioino si mise in luce nell’attiva gestione delle finanze comunali, e nella creazione di un’ampia e ricca corte cittadina.

Il duca di Calabria rientrò a Napoli ai primi del 1327 per contrastare la minaccia di Ludovico il Bavaro, e vi morì inaspettatamente il 9 novembre 1328. Il giudizio dei contemporanei, almeno di quelli fiorentini, fu abbastanza netto. Quel giovane principe, che in una giornata di inverno aveva accettato la signoria dalle mani degli ambasciatori fiorentini, non era in fondo (sono ancora parole del Villani) «di gran valore a quello che potea essere, né troppo savio; dilettavasi in dilicatamente vivere e de la donna, e più in ozio che in fatica d’arme».

 

Lettura di approfondimento:

  • R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze, Sansoni, 1973, vol. IV, pp. 1054 e segg.

 

Elenco dei link in ordine di citazione
(il loro funzionamento è stato verificato il 13 gennaio 2012):


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