13 luglio 1452: le Porte del Paradiso

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di Mons. Timothy Verdon (Direttore, Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore)

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

 

 

Porta del Paradiso dopo il restauro. Foto di Antonio Quattrone. Per cortese concessione dell’Opera Santa Maria del Fiore

Quando, il 13 luglio 1452, furono collocate al portale est del Battistero di San Giovanni le nuove valve di bronzo gettate e ripulite da Lorenzo Ghiberti – quelle che in seguito Michelangelo avrebbe considerate “degne del Paradiso” -, la rinascita fiorentina doveva sembrare a un punto di svolta. Da una parte, uno dei maggiori maestri della prima ora di questa evoluzione di stile e di pensiero, Ghiberti, si dimostrava capace di assimilare i nuovi linguaggi forgiati nei decenni intercorsi tra la commissione per la sua altra porta e questa nuova: lui, il più legato all’eleganza dell’ultimo gotico, quello denominato “internazionale”, faceva vedere a tutti una straordinaria capacità di gestire la prospettiva, la nuova architettura, e l’orchestrazione di numerose figure in scene narrative di notevole complessità compositiva e emotiva – novità, queste, inventate e maturate dall’antico rivale Filippo Brunelleschi e dal giovane genio Masaccio. Masaccio era morto prematuramente un quarto di secolo prima, e Brunelleschi era deceduto nella pienezza dell’età nel 1446, così che – dei fondatori del Rinascimento – c’erano rimasti praticamente solo Ghiberti e Donatello. Ma nel 1452 Donatello era già da anni a Padova, e sul campo rimaneva solo Lorenzo.

 

Le sue nuove porte sembravano quindi riassumere il senso dell’intero mezzo secolo trascorso dal giorno felice in cui, giovanissimo, ‘Nencio’ (Lorenzo) aveva vinto un concorso e incominciato a lavorare al Battistero. Allora, nel 1401-1402, il compito era stato di portare avanti un progetto iniziato negli anni 1330 – il progetto di tre porte di bronzo di uguali dimensioni (5x3m), una per ciascuno dei portali di questa chiesa ritenuta dai fiorentini un tempio pagano d’epoca romana trasformatasi in luogo d’iniziazione cristiana. Le sue prime porte, narranti la vita di Cristo e terminate nel 1424, erano state messe al posto d’onore ad est, dirimpetto all’ingresso principale del Duomo. Ma ora queste, stimate più moderne e più belle, le avevano sostituite: era stato deciso, cioè, che queste “Porte del Paradiso” dovevano dominare la stretta piazza tra Battistero e Duomo, eclissando con la loro dorata raffinatezza l’incompiuta facciata della Cattedrale, brulicante di statue dal vecchio Arnolfo a Donatello e Nanni di Banco. In piazza allora c’erano anche dei sarcofagi romani rimasti nei secoli, e così le nuove porte del Ghiberti sembravano colmare uno sforzo plurisecolare di riportare la plastica al livello di espressività e d’eccellenza tecnica creduto monopolio esclusivo dei maestri grecoromani.

 

Porta del Paradiso, particolare; formella con storie di Esaù e Giacobbe. Foto di Antonio Quattrone. Per cortese concessione dell’Opera Santa Maria del Fiore

Il fatto poi che le nuove porte, con scene veterotestamentarie e originalmente destinate al portale laterale nord dell’edificio, avessero preso il posto di porte narranti di Cristo e giustamente già collocate di fronte al Duomo, segnalava un atteggiamento del tutto nuovo. Al posto della logica ‘teologale’ che fino ad allora aveva guidato il programma iconografico della piazza, imperava ora una logica estetica che di lì a poco avrebbe dato una nuova identità all’intera città: quella appunto di città d’arte. Con le Porte del Paradiso Firenze entra, infatti, nella mentalità celebrativa di quella che essa stessa riconoscerà come la sua “età d’oro”, e col senno di poi non sembra un caso che, a poche centinaia di metri delle nuove porte e in piena vista di esse, stesse sorgendo la fastosa dimora di Cosimo de’ Medici e di suo figlio Piero il Gottoso, sotto la direzione di un ‘chompagno’ del Ghiberti, Michelozzo. Di lì a pochi anni, poi, nella cappella di quel palazzo de’ Medici, il nuovo gusto del bello aristocratico avrebbe trovato sontuosa espressione negli affreschi di un alunno dell’Angelico, Benozzo Gozzoli.

 

Nella folla che doveva affluire per ammirare le splendenti nuove porte del Ghiberti, è addirittura possibile che ci fosse – in braccio alla mamma – un bambino della schiatta dei Filipepi, Sandro, poi noto come Botticelli. Proprio il Botticelli, lavorando trent’anni dopo insieme ad altri nella cappella Sistina, metterà a frutto l’innovativo sistema narrativo inventato dal Ghiberti nelle formelle della Porta del Paradiso – non lineare ma per flashbacks e fughe in avanti -, e sarà la sua generazione a trasmettere a quella successiva l’intensa ammirazione per le Porte che durerà fino al primo manierismo fiorentino. Un giovane di quella generazione che seguì il Botticelli, Michelangelo Buonarroti, non solo assegnerà il nome con cui le porte est del Battistero sono note – “del Paradiso” – ma mutuerà dal Ghiberti l’idea base della suddivisione in scomparti della volta della Sistina, come s’approprierà anche di formule compositive ed esegetiche, come nel suo Davide che decapita Golia, prese letteralmente dalla formella ghibertiana raffigurante questa stessa scena in primo piano.

 

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 13 luglio 2013):


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