19 marzo 1766: nasce Filippo Pananti

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di Pier Tommaso Messeri

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

 

 

Casa natale di Filippo Pananti a Ronta di Mugello

Filippo Pananti vide la luce il 19 marzo 1766 nei pressi dell’abitato di Ronta. Ottavo di undici figli, nacque in seno ad una famiglia di antichi possidenti del luogo.

 

Rimasto orfano di padre in tenera età, venne seguito nell’educazione dal fratello di sua madre, il dottor Angelo Gatti, celebre medico dallo spirito illuminista, annoverato tra i precursori del vaccino al vaiolo.

Dopo aver ottenuto una prima istruzione privata, Filippo, che aveva dimostrato una precoce predisposizione per le “belle lettere”, venne indirizzato al sacerdozio e inviato a studiare nel 1777 al Collegio-Seminario di Pistoia, rimanendo in quella struttura fin quando, non volendo prendere i voti, decise di lasciarla nel 1785.

Si iscrisse quindi ai corsi di legge all’ateneo pisano, dove oltre all’addottorarsi, ebbe la possibilità di stringere importanti legami umani e culturali in un ambiente animato da personalità del calibro di Giovanni Maria Lampredi e Lorenzo Pignotti.

Nel 1792, il “dottor” Pananti, proposto fra i membri per la revisione del Codice Civile Toscano, revisione che non avvenne per la prematura morte del Lampredi, si stabilì a Firenze. In questa città da emissari corsi gli fu offerta una cattedra di letteratura italiana in quell’isola, proposta che venne rifiutata. Venne dunque introdotto tra gli Accademici Infuocati, facendosi conoscere per i suoi virtuosismi epigrammatici e divenendo intimo dell’influente cerchia di intellettuali che si riuniva intorno al marchese Federico Manfredini.

All’inizio del 1796 il Granducato, al centro di uno scacchiere strategicamente importante per le mire dell’Armate d’Oltralpe, cercava di mantenere uno status di neutralità. Manfredini, primo ministro di Ferdinando III di Lorena, raccoglieva informazioni utili alla salvaguardia del suo Stato e coinvolgeva persone fidate (tra cui Pananti) in una serie di contatti rigorosamente confidenziali e non ufficiali con esponenti della diplomazia d’Oltralpe di stanza a Firenze. Filippo Pananti, data la cultura e la parentela con Angelo Gatti, stimato ed apprezzato a Parigi, potè avvicinare e farsi interlocutore del conte Miot, plenipotenziario del Direttorio francese e di altre personalità.

Nonostante l’impegno del Manfredini e del suo entourage, il Granducato di Toscana, tra il 1796 al 1799, venne a più riprese invaso dagli eserciti francesi fin quando il Granduca e parte della sua Corte vennero costretti ad allontanarsi da Firenze.

 

Ritratto del Dr. Gatti (w/c on paper) by Carmontelle, (Louis Carrogis) (1717-1806); Musee Conde, Chantilly, France;

Filippo Pananti, rimasto nella sua città, alternò l’attività poetica, componendo i suoi Epigrammi e Novellette Galanti, a periodici viaggi nella neonata Repubblica Cisalpina, dove entrò in contatto con importanti letterati e si inserì in dibattiti politici nuovi. Nel 1799 fu attivo nella Società Patriottica Fiorentina, di tendenze repubblicane, mettendosi in luce con interventi di contenuto democratico, pubblicati poi nel “Monitore Fiorentino”. In particolare, si espresse per l’uguaglianza sociale, per un’educazione e un’alfabetizzazione allargate a tutte le classi, per la libertà di stampa; difese inoltre i diritti dei carcerati, e la necessità dell’istituzione di una Legione Etrusca a tutela delle nuove libertà.

 

Preoccupato per le conseguenze dei moti dei “Viva Maria”, sorti in quell’anno nell’aretino, assieme ad altri membri della Società Patriottica si portò in ben due occasioni ad Arezzo, dove cercò con “discorsi accorati” rivolti ai tumultuosi di smorzare i toni della protesta.

Il suo intervento venne richiesto anche in Mugello, con la speranza di sedare le bande di facinorosi che dal Casentino, dopo aver raccolto accoliti, si erano portate alla volta di Borgo San Lorenzo. Nel territorio mugellano, assieme ad un giovanissimo Ugo Foscolo, Pananti cercò di riportare la calma, ma fu costretto a scappare.

Nell’agosto 1799, dopo la battaglia del Trebbia e la conseguente ritirata dei Francesi, la situazione politica toscana mutò nuovamente e Filippo, ritenendosi compromesso con la classe filo-democratica, per timore di possibili ripercussioni, decise di abbandonare Firenze .

Peregrinò nel centro Europa, e nel 1800 accettò l’incarico di professore di Letteratura italiana e Storia nella scuola-collegio di Sorèze, cittadina nel sud della Francia. Qui fu attivo per due anni, dedito all’insegnamento e alla revisione di alcune sue opere poetiche: gli Epigrammi (ispirati a Giovenale e Orazio ed editi a Milano probabilmente nel 1802), La Civetta (Milano 1802) e Il Paretaio (Milano 1808). Fu prodigo nell’offrire aiuti ad altri esuli toscani, lontani dalla patria per le sue stesse ragioni.

 

Filippo Pananti

Nel 1803, dopo una breve permanenza in Olanda, si diresse in Inghilterra e si stabilì a Londra, dove non tardò a farsi conoscere e apprezzare sia come poeta che come insegnante, tanto da essere nominato precettore della duchessa di York e Poeta del Teatro Regio. Nell’isola scrisse e dette alle stampe Il Poeta di Teatro (Londra 1809), poemetto tragicomico nel quale ripercorre con sagacia e sarcasmo parte della sua vita.

 

Essendosi inserito in un contesto stimolante, fece parte di un cenacolo di esiliati italiani, costituendo e collaborando alla redazione nel 1813 di un giornale, “L’Italico”, di impronta politico-letteraria.

Nel settembre di quell’anno, Pananti, ritenendo possibile un ritorno a Firenze, s’imbarcò alla volta dell’Italia, dove arrivò solo a seguito di un avventuroso viaggio. Il legno sul quale si era imbarcato venne abbordato da efferati pirati e dirottato alla volta di Algeri, dove rimase alcuni mesi prima di poter ripartire per la Sicilia. Di queste peripezie e di quello che vide nel territorio nord africano scrisse nelle sue Avventure e Osservazioni sulle Coste di Barberia (Firenze 1817). Giunto quindi a Palermo nel 1814, ebbe modo di fondare un giornale “Il Corriere di Sicilia”, anche questo di carattere democratico.

Ritornato finalmente in Toscana nell’agosto del 1814, si dedicò completamente alla letteratura, dando alle stampe un lavoro poetico, Opere in Versi e Prosa (Firenze 1824-25), che venne molto apprezzato dall’Accademia della Crusca. Stimato, anche per la sua vita cosmopolita, Filippo fu intimo del salotto artistico-letterario di Carlotta Medici-Lenzoni dove venne in contatto con letterati e intellettuali di passaggio da Firenze come Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi. Fu tra i primi ad associarsi al Gabinetto Scientifico-letterario di Giovanpietro Vieusseux.

Trascorse i suoi ultimi anni tra frequentazioni dotte e dispute letterarie. Si spense a Firenze, in via delle Terme, il 14 settembre 1837.

Venne tumulato in quello che viene appellato come “il Chiostro Romantico” presso la basilica di Santa Croce, dove il suo sepolcro, ornato grazie ad una sottoscrizione di letterati ed artisti, venne ingentilito con un epitaffio dettato da Giovan Battista Niccolini.

Bibliografia essenziale

L. Andreani, Filippo Pananti. Trentatre lettere, raccolte da Luigi Andreani, Castiglion Fiorentino, Bennati e Lovari, 1918

L. Andreani, Filippo Pananti. Scritti minori inediti o sparsi con notizia della vita e delle opere sue, Firenze, R. Bemporad e Figlio, 1897

L. Ciulli, Filippo Pananti e Giuseppe Giusti nel Seminario-Collegio vescovile di Pistoia, Prato, Guasti, 1883

P.T. Messeri, Filippo Pananti, viaggiatore e poeta, Tesi di Laurea, Facoltà di Lettere, Università degli Studi di Firenze, a.a. 2011-2012

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