28 luglio 1849: Leopoldo II rientra a Firenze

di Christian Satto (Scuola Normale Superiore di Pisa)

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G. Bezzuoli, Ritratto del granduca Leopoldo II di Toscana in veste di cavaliere di Santo Stefano, 1840 circa. Pisa, Scuola Normale Superiore

Sabato 28 luglio 1849 una Firenze addobbata a festa, ma ben presidiata da truppe austriache, assisteva al rientro in pompa magna del granduca Leopoldo II d’Asburgo-Lorena, disturbato – annotava Luigi Passerini – solo da «alcuni fischi, che per altro da pochi furono uditi». Era sbarcato a Viareggio qualche giorno prima, il 24 luglio.

 

Il sovrano aveva lasciato la capitale granducale il 30 gennaio precedente per spostarsi a Siena e di lì, il 7 febbraio, a Porto Santo Stefano da dove, il 21 febbraio, si era imbarcato su una nave inglese che lo aveva condotto a Gaeta, nel Regno delle Due Sicilie, sotto la protezione di Ferdinando II di Borbone che già ospitava Pio IX, anch’egli fuggito dai suoi Stati in preda ai sussulti rivoluzionari del 1848.

Che cosa aveva spinto Leopoldo ad abbandonare la Toscana? Nell’ottobre del 1848 aveva affidato il governo a Giuseppe Montanelli, con Francesco Domenico Guerrazzi ministro dell’interno. Entrambi appartenevano alla fazione radical-democratica degli schieramenti politici formatisi durante il 1848 toscano. «Uomini usciti dall’anarchia, con mezzi violentissimi»: ecco chi erano Montanelli e Guerrazzi secondo quanto scriveva un furioso Bettino Ricasoli per protesta contro la loro nomina si dimise da Gonfaloniere di Firenze – a Raffaello Lambruschini il 24 ottobre 1848. Montanelli, in particolare, voleva attuare il suo noto progetto di costituente italiana e tentò di realizzarlo fin da subito ottenendo, in un primo momento, anche l’assenso, assai tentennante, di Leopoldo. Si arrivò così al gennaio del 1849. Dopo giornate in preda al dubbio, quelle del 21 e del 22, il granduca autorizzò la presentazione per la discussione al Consiglio generale (la camera dei rappresentanti eletti) del progetto di legge con il quale si sarebbe disciplinata l’elezione dei rappresentanti toscani alla costituente italiana. Il Consiglio approvò il disegno all’unanimità, così come a sua volta fece il Senato. Il titubante Leopoldo, vero «don Abbondio in soglio», come l’ha definito lo storico Ernesto Sestan, «di fronte – è ancora da Sestan che si cita – alla necessità di sanzionare la legge che egli stesso aveva approvato dieci giorni innanzi, non vide altra via di uscita che di sottrarsi con una partenza troppo simile a una fuga».

La Toscana, quindi, priva del principe, vide instaurarsi prima un triumvirato provvisorio formato da Guerrazzi, Montanelli e Giuseppe Mazzoni, poi la dittatura del solo Guerrazzi, fino all’11 aprile 1849, quando una Commissione del Municipio di Firenze a guida moderata, il cui obiettivo era la conservazione del regime costituzionale, rovesciò Guerrazzi in nome del granduca.

Leopoldo, invece, aveva già chiesto l’intervento di Vienna, i cui eserciti il 23 marzo 1849 avevano vinto Carlo Alberto nella battaglia di Novara. Ormai l’Impero asburgico guidato dal giovanissimo Francesco Giuseppe era riuscito a domare quasi tutte le rivolte interne e poteva quindi ristabilire l’ordine nella penisola. Fu così che un’armata austriaca intraprese l’invasione della Toscana: il 5 maggio entrò a Lucca, il 6 a Pisa, tra il 10 e il 12 stroncò brutalmente la resistenza di Livorno, mentre il 25 fece il suo ingresso a Firenze. L’invasione austriaca fu vissuta dai liberali moderati come un tradimento del granduca. Marco Tabarrini scrisse che Gino Capponi, udendo il suono delle trombe e dei tamburi dei reggimenti austriaci entrati in città, «benedisse la sua cecità che gl’impediva di vederli».

Al fine di sottolineare questa riconciliazione tra Firenze e Vienna, secondo quanto scrisse nel suo Diario Luigi Passerini, Costantino D’Aspre, il comandante austriaco, avrebbe voluto che Leopoldo entrasse nella sua capitale con l’uniforme militare asburgica e non con quella toscana. Il Granduca resistette e indossò l’abito di Gran Maestro dell’Ordine di Santo Stefano. Si rese però protagonista di un’altra imprudenza decorando con l’Ordine di San Giuseppe diversi ufficiali austriaci. «Bene è vero – scriveva ancora Passerini – che questa è una conseguenza del primo passo, quello cioè di averli chiamati, ma scegliere questo giorno consacrato alla gioia dei Toscani nel rivedere il loro padre è stato imperdonabile errore. E più che errore, ingratitudine […]». Un episodio simbolico di come in quel luglio del 1849 fosse rientrato in Toscana un principe non più autonomo. Leopoldo II, infatti, da buon arciduca asburgico si allineò all’Austria avviando una politica reazionaria che tra le altre cose comportò, nel maggio 1852, l’abolizione formale dello Statuto, di fatto già sospeso, per la cui salvaguardia la Commissione municipale nell’aprile del 1849 lo aveva richiamato a Firenze. «Ormai la Toscana è fatta un feudo imperiale», commentò un deluso Cosimo Ridolfi in una lettera a Massimo d’Azeglio. Leopoldo II di conseguenza, agli occhi di larga parte dei patrioti toscani, divenne solamente un luogotenente di Vienna con il quale sarebbe stato impossibile qualsiasi accordo in chiave nazionale. Anche chi, negli anni successivi, continuò a pensare ad una Toscana autonoma in un nuovo contesto nazionale si rese conto che non era più possibile contare sulla dinastia asburgica. Gli unitari, dal canto loro, iniziarono a guardare al Regno di Sardegna costituzionale. Quasi tutti, invece, non rimpiansero Leopoldo II quando la rivoluzione del 27 aprile 1859 lo costrinse ad abbandonare, stavolta definitivamente, Firenze e la Toscana.

 

Letture di approfondimento:

  • Chiavistelli, Dallo Stato alla nazione. Costituzione e sfera pubblica in Toscana dal 1814 al 1849, Roma, Carocci, 2006
  • T. Kroll, La rivolta del patriziato. Il liberalismo della nobiltà nella Toscana del Risorgimento, Firenze, Olschki, 2005
  • E. Sestan, La Firenze di Vieusseux e di Capponi, Firenze, Olschki, 1986
  • M. Tabarrini, Gino Capponi. I suoi tempi, i suoi studi, i suoi amici, Firenze, Barbera, 1879
  • Il Quarantotto in Toscana, diario inedito del conte Luigi Passerini de’ Rilli, a cura di F. Martini, Firenze, R. Bemporad & Figlio, 1918; Firenze, Marzocco, 1948

 

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