Francesco Guicciardini
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Nacque a Firenze il 6 marzo 1483 da una famiglia tra le più ricche e nobili della città, i cui membri avevano ricoperto le più alte cariche pubbliche. Sin dal 1498, fu avviato agli studi di diritto dapprima a Firenze, poi a Ferrara e a Padova. Iniziò presto una felice carriera professionale nell’avvocatura, che influenzò poi anche la scrittura delle sue maggiori opere politiche e storiografiche. Dalla passione, tipicamente fiorentina, per le scritture di famiglia (espressa già nelle Ricordanze, avviate dal 1508, e nelle Memorie di famiglia), prese avvio la redazione delle sue Storie fiorentine, aperte proprio dalla rievocazione di un suo avo gonfaloniere. Dall’ambiente famigliare, d’altronde, aveva ereditato un forte sentimento di orgoglio aristocratico e un senso della tradizione che rimasero elementi centrali della sua biografia personale e intellettuale. Nel 1511 fu inviato in Spagna quale ambasciatore fiorentino alla corte di Ferdinando il Cattolico. Di questo soggiorno ci restano un Diario, di carattere privato, testimonianza di una raffinata curiosità intellettuale, e una Relazione, da cui emerge un’accurata descrizione di tipo socio-economico della società e del paesaggio spagnolo. Di questo periodo è il cosiddetto Discorso di Logrogno: una riflessione acuta sulle istituzioni di Firenze, espressa nel clima di tensione che precedette l’assedio della fortezza fiorentina di Prato della fine di agosto del 1512, e la conseguente caduta della Repubblica soderiniana con il rientro dei Medici in città. A questa fase, inoltre, risale il primo nucleo di quei Ricordi, dove maggiormente si manifesta la predilezione di Guicciardini per un colloquio con se stesso, ed emerge appieno quel disincanto che tanto caratterizza la sua opera letteraria. Rientrato in Firenze nel ’13, fu presto chiamato a partecipare al governo mediceo, prima quale membro (al posto del padre appena deceduto) della Balìa dei diciassette voluta dai Medici, e poi degli Otto di Pratica. A questo periodo è riconducibile il discorso Del modo di assicurare lo stato alla causa de’ Medici (1516), nel quale emergono due elementi centrali del pensiero politico guicciardiniano: da una parte il tentativo di assicurare al ceto ottimatizio la partecipazione al governo della città (come garanzia di equilibrio istituzionale per la Repubblica); dall’altra la convinzione che proprio i Medici rappresentassero il male minore per Firenze in quel momento storico.

Tali circostanze spiegano in parte la sua nomina a Commissario pontificio di Modena nel 1516, con la quale Guicciardini cominciò una nuova fortunata carriera di funzionario presso il papato mediceo di Leone X e poi di Clemente VII. A partire dal ’21, quindi, l’Italia diventava nuovamente il teatro di uno scontro diretto tra francesi e imperiali. Nel contesto dell’alleanza di Leone X con Carlo V in funzione antifrancese, Guicciardini venne nominato Commissario generale dell’esercito pontificio. È di questo periodo il Dialogo del reggimento di Firenze, nel quale la discussione sulle istituzioni cittadine è il punto di partenza per una più ampia riflessione sulla vita politica e civile. La guerra si protrasse a lungo, finché nel ’25 i francesi vennero sconfitti a Pavia. La Lega di Cognac dell’anno successivo, stipulata dal papato con altre potenze europee – tra cui gli stessi francesi –, per contrastare la prevalenza militare e politica degli imperiali (spagnoli e tedeschi) in Italia, vide ancora protagonista Guicciardini, eletto nuovamente Commissario dell’esercito pontificio e Luogotente generale del papa. Dopo il sacco di Roma del ’27 da parte degli imperiali e il conseguente tumulto contro il governo mediceo a Firenze, l’amarezza per il fallimento della propria linea politica, di fronte alle divisioni dei principi italiani e all’incapacità di allestire un esercito capace di affrontare gli stranieri, fu l’esperienza determinante che diede avvio alla redazione della sua Storia d’Italia. Dopo il rientro dei Medici a Firenze nel ’30, Guicciardini si espresse contro una soluzione principesca per il governo della città. Ciononostante fu chiamato a far parte di una commissione deputata a suggerire soluzioni per il governo, che, nel ’32, fece di fatto Alessandro de’ Medici duca di Firenze. Con amarezza e rassegnazione lo stesso Guicciardini, dunque, contribuì a porre fine a quelle secolari istituzioni repubblicane che pure egli aveva rispettato profondamente. Rientrato definitivamente in Firenze, nel 1535 fu nominato consigliere del duca Alessandro. Dopo che nel ’37 Cosimo si garantì il titolo ereditario e il riconoscimento imperiale di duca, cedendo in cambio le fortezze fiorentine nelle mani degli spagnoli, Francesco partecipò sempre più stancamente alla vita politica solo con altri incarichi formali. Ai suoi occhi quello scambio, cui si era opposto, aveva sancito la fine definitiva della libertà di Firenze. Da quel momento in poi si dedicò unicamente alla redazione e all’ultima revisione, mai completata, della sua Storia d’Italia. Morì il 22 maggio 1540.

La transizione da una tradizione storiografica locale e municipale (le Storie fiorentine) a una di ambito «nazionale» (la Storia d’Italia), si incarna emblematicamente nella biografia di Guicciardini col passaggio epocale delle Guerre d’Italia (iniziate con l’invasione francese del 1494), che cambiò la dimensione e i compiti dello storico. Le Storie fiorentine (che si aprono con il tumulto dei ciompi del 1378 e terminano con la fase finale dell’assedio per la riconquista di Pisa del 1509) appartengono, infatti, alla prima fase della sua storiografia, ancora legata ai confini storico-geografici locali e a quel retroterra culturale tipico della scrittura della storia in ambito toscano. Nonostante ciò, già in questo testo compaiono caratteristiche personali, innovative rispetto alla precedente tradizione, quali ad esempio il forte rilievo dato alla politica interna rispetto alla politica estera e l’uso di particolari modalità espressive come il discorso indiretto libero e l’abbandono della dimensione aneddotica. Negli anni successivi, tuttavia, passando attraverso un rinnovamento di metodo nell’uso critico delle fonti – che si manifestò prima di tutto nelle Cose fiorentine –, Guicciardini si sarebbe lasciato alle spalle la dimensione prettamente municipale lavorando alla sua più ampia e celebre fatica storiografica: la Storia d’Italia. Quest’opera, infatti, non è solo la prima vera storia dell’«Italia» moderna, ma anche la prima autentica storia d’Europa: il principale oggetto di osservazione, d’altronde, qui è appunto il confronto politico e militare tra le diverse potenze europee sul territorio della penisola nel primo Cinquecento. E non casualmente il suo capolavoro si apre con il celebre giudizio sulle «calamità» e gli «accidenti» seguìti agli avvenimenti del 1494.

Più in generale, se le Storie fiorentine sono state lette in passato soprattutto in chiave politica, oggi la critica tende a interpretare la dimensione politica del testo come un elemento capace di affinare la ricostruzione e l’analisi più propriamente storica del passato fiorentino. Al contempo, la critica recente ha contribuito a ‘riscoprire’ anche il valore precipuamente storiografico della Storia d’Italia, che negli ultimi decenni sembrava essere diventata oggetto dell’attenzione dei soli letterati e dei linguisti. La qualità letteraria e stilistica dell’opera maggiore guicciardiniana, d’altronde, non può essere disgiunta dalla finalità che la sua scrittura si poneva, come raffinato strumento di analisi della verità storica. Lo confermano la continua ricerca di fondamento di ogni notizia e informazione, nonché il tentativo di spiegare le intenzioni e la psicologia dei personaggi, che emergono di continuo dalle sue pagine. La Storia d’Italia, insomma, appare lo sforzo supremo di una volontà razionalizzatrice che è manifestamente e principalmente storiografico.

Opere

Le cose fiorentine, a cura di R. Ridolfi, Firenze, Olschki, 1945.

Opere: vol. I, Storie fiorentine, Dialogo del reggimento di Firenze, Ricordi e altri scritti, a cura di E. Lugnani Scarano, Torino, UTET, 1970; voll. II e III, Storia d’Italia, a cura di E. Scarano, Torino, UTET, 1981.

Ricordi, a cura di G. Masi, Milano, Mursia, 1994.

Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, Milano, Rizzoli, 1998.

Studi su Francesco Guicciardini

V. De Caprariis, Francesco Guicciardini: dalla politica alla storia, Bari, Laterza, 1950;

R. Ridolfi, Vita di Francesco Guicciardini, Roma, Belardetti, 1960;

F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini. Pensiero politico e storiografia a Firenze nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1970;

M.S. Sapegno, Storia d’Italia (di Francesco Guicciardini), in Letteratura italiana, a cura di A. Asor Rosa, Le opere, vol. II, Dal Cinquecento al Settecento, Torino, Einaudi, 1993;

P. Jodogne, Guicciardini Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2004;

La «riscoperta» di Guicciardini, Atti del convegno internazionale di Torino (14-15 novembre 1997), a cura di A.E. Baldini, e M. Guglielminetti, Genova, Name, 2006;

Francesco Guicciardini tra ragione e inquietudine, Atti del convegno internazionale di Liège (17-18 febbraio 2004), a cura di P. Moreno e G. Palumbo, Genève, Droz, 2006;

P. Carta, Francesco Guicciardini tra diritto e politica, Padova, Cedam, 2008;

J.-L. Fournel – J.-C. Zancarini, La Grammaire de la République. Langages de la politique chez Francesco Guicciardini (1483-1540), Genève, Droz, 2009 ;

E. Cutinelli-Rèndina, Guicciardini, Roma, Salerno editrice, 2009;

J.M. Najemy, Carpi, maggio 1521. Amici: Machiavelli e Guicciardini nelle guerre d’Italia, in Atlante della letteratura italiana, a cura di S. Luzzatto e G. Pedullà, vol. I, Dalle origini al Rinascimento, a cura di A. De Vincentiis, Torino, Einaudi, 2010.