27 aprile 1554: inaugurazione del Perseo di Benvenuto Cellini

di Marco Calafati (Firenze)

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Benvenuto Cellini, Perseo, visto dal cortile di palazzo Vecchio.

Il 27 aprile del 1554, dopo nove anni di lavorazione, fra lo stupore dei fiorentini, Benvenuto Cellini inaugura la statua bronzea del Perseo, che il duca Cosimo I de’ Medici gli commissiona appena rientrato a Firenze, dopo il soggiorno alla corte di Francesco I di Valois re di Francia. «Or come piacque al mio glorioso Signore e immortale Iddio, io la fini’ del tutto, e un giovedì mattina io la scopersi tutta». Sotto l’arco orientale della Loggia dei Lanzi, verso Palazzo Vecchio, la statua è posta a pendant della Giuditta di Donatello. Simbolo del potere assoluto di Cosimo I, il soggetto è da lui stesso concepito come cesura rispetto all’esperienza repubblicana. La bellezza dell’eroe che, decapitando Medusa, riporta sulla Terra l’ordine e la giustizia, assurge a monito per i nemici della dinastia. Alta 5,19 metri per 25 quintali di peso complessivo, il Perseo rappresenta l’affermazione del duca, che da lì a un anno (1555) sottometterà anche Siena. Con la collocazione del Perseo, Cosimo impone alla piazza un tono aulico; la Loggia perde la funzione d’arengario civico, per divenire sia spazio espositivo ante litteram che luogo celebrativo del potere mediceo.

 

 

Particolare della schiena e dell’elmo del Perseo.

La scultura è il risultato di un lungo e faticoso lavoro in cui Cellini concentra per anni tutte le proprie energie. Preceduto da due bozzetti, uno in cera e l’altro in bronzo con significative differenze formali, il Perseo è realizzato in un solo getto ad eccezione di alcuni particolari. La tormentata fusione è raccontata con enfasi dall’artista nella sua autobiografia; quando brucia il tetto della casa il racconto celliniano si colora di uno stile visivo caratterizzato da vividezza e realismo. Le cose si animano e prendono vita al bagliore del fuoco che rende la scena analoga a quella di un processo alchemico: «oh quando quel migliaccio cominciò a sentire quel terribil fuoco, ei si cominciò a schiarire, e lampeggiava […] e di verso l’orto avevo fatto rizzare certe tavole e altri tappeti e pannacci, che mi riparavano dall’acqua» (Vita, II, 76). Il racconto è centrato sui «gran furori» degli elementi primordiali fino all’istante supremo del «romore con un lampo di fuoco grandissimo» a seguito dell’esplosione del coperchio della fornace che «si era sollevato di modo che ‘l bronzo si versava». Solo dopo la preghiera a Dio da parte dell’artista, la forma prodigiosamente si riempie di metallo fuso. La laboriosissima fusione procura al Cellini febbri feroci dovute all’esalazione, mentre la realizzazione delle minute gocce di sangue sfilacciato che pende dalla testa di Medusa gli costa la vista e un paio di dita. Il 20 agosto 1552 il vescovo di Arezzo Bernardo Minerbetti scrive una lettera entusiastica a Vasari, dopo avere visto il Perseo quasi terminato nell’orto della casa di Cellini in via della Pergola, rilevando l’importanza del fiotto di sangue «che impetuosamente esce dal tronco» di Medusa. La figure del Perseo e di Medusa sono saldate mediante una colata di bronzo, mentre sul collo e sul corpo di Medusa il collegamento dei fiotti di sangue è ottenuto mediante perni. Le leghe differiscono nelle percentuali dei metalli: rame e stagno per la Gorgone; rame, stagno, piombo e zinco nel Perseo, perché Cellini, in difficoltà a causa della burocrazia medicea e della parsimonia del duca, avrebbe buttato nella fornace «piatti e scodelle e tondi di stagno, i quali erano in circa a dugento» (Vita, II, 77).

 

 

Benvenuto Cellini, Perseo e sullo sfondo Palazzo Vecchio.

Le parole del maestro orafo rendono vivo il momento della conclusione dei lavori: «Con voce grandissima dicevo ora a questo e ora a quello: porta qua, leva là [...] tutta quella brigata con tanta voglia mi ubbidiva, che ognuno faceva per tre [...] e in quel mentre io avevo condotto tutta la mia opera al suo fine». Alla fusione del Perseo e del corpo decapitato di Medusa segue la realizzazione del basamento marmoreo con il rilievo bronzeo della Liberazione di Andromeda, dove Cellini subordina i bruschi passaggi fra il tuttotondo e la traccia incisa del leggero stiacciato a contrasti tra luce e ombra che intensificano la drammaticità della scena. Benvenuto adorna la base con quattro statuette in bronzo raffiguranti divinità legate al mito, Giove, Danae con Perseo fanciullo, Minerva, Mercurio talmente gradite a corte che la duchessa Eleonora le desidera per sé.

 

Nonostante le inimicizie che Cellini annovera per il carattere «colloroso», come lo definisce Vasari, il Perseo riscuote successo tra i fiorentini: «Subito, che e’ non era ancora chiaro il giorno – scrive Cellini – vi si radunò tanta infinita quantità di popoli, che è saria inpossibile il dirlo, e tutti a una vocie facevano a gara a chi meglio ne diceva». Tra il pubblico Cellini ricorda «due gentili piacevoli uomini» che lo invitano ad andare a lavorare in Sicilia, spiegando che Giovan Agnolo Montorsoli aveva costruito la fontana di Orione a Messina con figure non belle ed eleganti come quelle del Perseo. Benvenuto interrompe il dialogo dichiarando la sua fedeltà al suo duca. Cosimo, da parte sua – in quella fresca mattinata primaverile dell’aprile 1554 – si limita ad osservare da una finestra di Palazzo Vecchio e ascolta i giudizi della folla. L’artista sembra averlo «contentato molto». Rimane però il dubbio sul reale punto di vista del duca sull’opera. Altri esplicitano il loro scarso gradimento, come il poeta burlesco Alfonso de’ Pazzi: «corpo di vecchio e gambe di fanciulla / ha il nuovo Perseo; e tutto insieme / ci può bel parer, ma non val nulla».

 

Benvenuto Cellini, Perseo e sullo sfondo Palazzo Vecchio

Non sono chiari i motivi che portano all’involuzione del rapporto tra Cellini e il duca, soprattutto da quando Benvenuto chiede diecimila ducati come compenso e Cosimo esclama che «la città e i gran palazzi si fanno cone i dieci mila ducati». L’artista non si capacita. Comincia a scrivere lettere su lettere, in cui non nasconde il dolore per la perdita della grazia di Sua Eccellenza. La sua attività sarà in seguito contrassegnata da iniziative rimaste parzialmente bloccate, soprattutto dopo la metà del secolo, quando si affermano Baccio Bandinelli e Bartolomeo Ammannati. Benvenuto definsce il primo «quel bestial Buaccio Bandinello […] sporco ribaldo goffo» (Vita, II, 54 e 71). Con l’Ammannati Cellini si sfiderà nel concorso per la commissione della statua di Nettuno per la fontana di piazza Signoria; l’incarico sarà, come noto, assegnato ad Ammannati.

 

 

Letture di approfondimento:

  • E. Camesasca, Tutta l’opera del Cellini, Milano, Rizzoli, 1955.
  • G. Somigli, Notizie storiche sulla fusione del Perseo, Milano, Associazione Italiana Metallurgia, 1958.
  • E. Camesasca, Narciso disperato, in B. Cellini Vita, Milano, Rizzoli, 1985.
  • Paolucci, Il “Perseo” del Cellini : una favola in bronzo, “Art e dossier”, XV, n. 158 (luglio-agosto 2000), pp. 8-11.
  • J. Greimas, G. Stimato, Il racconto del Perseo nella “Vita” di Benvenuto Cellini: il sistema dei personaggi e il “modello attanziale”, “Studi rinascimentali”, III (2005), pp. 77-86.

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 27 aprile 2013):